La mostra in corso presso la Galleria Alberto Peola presenta due serie di lavori fotografici di Daniela Rossel, una giovanissima fotografa messicana nata nel 1973, che vive e lavora tra Città del Messico e New York. La prima serie s’intitola Olympic Towers. Prende il nome da un lussuoso edificio di New York e ritrae soggetti femminili in posa nei loro sontuosi appartamenti. La seconda serie è Ricas y famosas e presenta ritratti di donne messicane ricche e potenti, anch’esse riprese all’interno delle loro abitazioni.
In entrambe i casi, i soggetti sono mostrati mentre si atteggiano in pose studiate in ambienti sfarzosi, sempre troppo carichi di oggetti e suppellettili. Tutta la mostra si gioca insomma sul senso del lusso sfrenato, dell’opulenza, dell’eccesso, del glamour a tutti i costi che facilmente scivola nel kitsch; tra copie di dipinti storici, tute e coperte zebrate e altri particolari estremi e di un ostentato cattivo gusto.
Dal punto di vista tecnico, le fotografie sono realizzate in modo preciso e attento: qualcosa tra le immagini di Vogue e un reportage su una civiltà diversa e lontana dalla nostra, con qualcosa dei ritratti classici. Ricordano i dipinti antichi, in cui le famiglie potenti si facevano ritrarre nelle loro case, per dimostrare la propria influenza sociale. Qui però i soggetti, quasi sempre femminili, si atteggiano, sono colti dallo scatto fotografico nei loro movimenti e atteggiamenti enfatici, come se le fotografie fossero state realizzate a documentazione di una performance.
Le immagini sono lucide e patinate, ma i soggetti non sembrano esaltati dalla cornice che li cattura: al contrario essi appaiono come paradossali e insensati esempi di una società e di una cultura soggiogata dai modelli proposti dalle soap opera o dalle riviste di moda, tra ostentato americanismo e dimenticanza delle radici culturali. L’intenzione pare quindi essere quella di mostrare il contrasto interno ad una civiltà che aspira ad imitare i modelli importati dagli Stati Uniti, ma che dimentica la sofferenza del divario economico e sociale e, soprattutto, la propria identità.
Così le donne sono oggetti tra altri oggetti, si confondono nell’eccesso sfrenato di ornamenti. Poi si atteggiano volontariamente, imitano una cosa o un’altra figura, osano sempre più di fronte alla macchina fotografica: quasi avessero trovato, attraverso di essa, una nuova libertà e un’occasione, anziché l’occhio cinico e impietoso di un’arte sottilmente ambigua e ironica. In questi lavori la qualità ricercatissima delle immagini rivela importunamente, quasi in modo osceno, l’ansia e la crisi di una cultura che in parte è anche nostra.
Maria Cristina Strati
Mostra visitata il 25 settembre 2001
Sono 28 le realtà che hanno aderito alla MIPAM, la nuova rete che riunisce le istituzioni museali le cui collezioni…
Una selezione degli spettacoli e dei festival più interessanti della settimana, dal 15 al 20 luglio, in scena nei teatri…
Arte visiva, fotografia, scultura ma anche design e cinema: linguaggi creativi in dialogo alla Florence Biennale 2025, che annuncia gli…
Fino a settembre ASTUNIpublicSTUDIO - il programma espositivo incentrato sulle nuove tendenze dell’arte contemporanea di Galleria Enrico Astuni - ospita…
A metà tra tradizione, design e lusso, l'asta di "Legendary Trunks" ha chiuso con il 90% dei lotti venduti e…
Più di duemila festival diffusi in tutta Italia ma la reale partecipazione culturale rimane al palo: un manifesto promosso da…
Visualizza commenti
il glamour ironico di questa artista mi attizza non poco!