La Galleria Emi Fontana riapre la stagione espositiva con “Magazine Station n.2” di Rirkrit Tiravanija. L’artista thailandese, nato a Buenos Aires nel 1961, vive e lavora tra New York, Berlino e Bangkok. Ha partecipato a Manifesta 1 (1996), al “Thinking Print” del MoMA di New York (1996) e alla Biennale di Venezia (1999). Ha tenuto numerose personali, tra cui la più importante è quella al Migros Museum di Zurigo (1998). Alcune presenze allo Studio Guenzani di Milano e la partecipazione alla mostra di Francesco Bonami, intitolata “Campo 6” a Torino, hanno preceduto la sua prima personale italiana, tenuta alla Galleria Emi Fontana, nel 1996.
A partire dal 1989, Rirkrit Tiravaniija ha incominciato a cucinare cibo tailandese nelle gallerie e nei musei newyorkesi, trasformando “l’arte concettuale in un potlatch” (Jerry Saltz, Flash Art, giugno–luglio 1999), cioè in un’occasione simile al rito di dissipazione indiano, con cui si “uccide la ricchezza” attraverso una “grande abbuffata”, a cui tutti sono invitati a partecipare.
I suoi interventi, per il loro aspetto “sciamanico”, vengono spesso paragonati ai lavori di Beuys, ponendo quesiti sull’attuale rapporto tra arte e società.
Jerry Saltz, critico d’arte di New York, per esempio, afferma :” E se un homeless riuscisse a pagarsi il biglietto del Walker Art Center e decidesse di dormire nel rifugio di Tiravanija, magari tutti i giorni? Come reagirebbero i curatori, i collezionisti e i critici? Come reagiresti tu?”.
Magazine Station n.2
“Magazine Station n.2” vuol essere un’operazione, in cui lo spazio tridimensionale dell’installazione e quello bidimensionale della carta stampata interagiscono con la dimensione temporale del web.
In pratica, Tiravanija propone quattro ambienti installati in due aree attigue, di cui due adibiti a studi di registrazione e due dedicati alla lettura del Numero 0 della rivista “Ver”.
Entrando nel primo ambiente, ci si sente avvolti dai delicati toni pastello delle tende che delimitano lo spazio-ufficio, in cui ogni visitatore può rilassarsi, sedersi, rilasciare interviste o comunicare le proprie impressioni circa la mostra.
Nell’area attigua, rifacendosi all’antica pratica cinese del feng-shui, l’artista ha disposto diversi oggetti nello spazio decorato dalle scritte del “writer” Fly Cat e su una sorta di tatami ha sparso cuffie e copie della sua rivista, composta interamente da immagini e da un cd rom, i cui argomenti spaziano dall’arte alla musica, dalla moda alle interviste ai personaggi.
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Giusy Checola
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