Nello Studio di Consulenza per il ‘900 italiano, Claudia Gian Ferrari presenta una scelta di opere di Fausto Pirandello (1899-1975). 12 olii e 5 pastelli coprono il periodo più maturo dell’artista: dagli anni ’30 sino alla metà degli anni ’60. L’esposizione si svolge per argomenti e momenti stilistici definiti: dal periodo trascorso a Parigi (1927-31), caratterizzato da un’interesse particolare per il cubismo e il realismo intimistico di Pascin, fino al secondo dopoguerra (1951-65), quando Fausto Pirandello, teso in dialettico contrasto fra realismo e astrattismo, rilegge la tipologia cubista. Due tele in particolare testimoniano questa nuova ricerca: “Nuotatore” (1951 ca, olio su cartone) e “Paesaggio” (1956-57). Qui la figurazione sembra quasi scomparire, da un paesaggio, da un tema di natura morta, il pittore astrae le forme descrittive e privilegia quelle costruttive, con una rappresentazione sintetica dei volumi e delle prospettive.
Il lavoro dell’artista ruota intorno a due tematiche di fondo: la figura umana, soprattutto nuda, e la natura morta. Su queste tematiche, Claudia Gian Ferrari scrive: “Il corpo femminile, e sovente anche maschile, non è mai narrato come espressione di bellezza, mai idealizzato, anzi è indagato nelle sue manifestazioni più brutali e in tutta la sua realtà, spesso violenta, brutta. Una carnalità assoluta che, anche nella propria accettazione di eros primigenio, contempla il senso del peccato, e quindi della colpa da espiare. Il bello è una categoria che, per Pirandello, non appartiene al mondo, né all’uomo. E’ un’illusione formale. […] La natura morta è spesso interpretata da oggetti riuniti, sembra, per caso, senza una scelta, se non quella cromatica, senza una logica di accostamenti. […] Nessuno degli elementi rappresentati è mai composto per una messinscena alta e nobile. La tipicità della nature morte pirandelliane sta proprio in questa rappresentazione volutamente di abbandoni, di cose povere, comuni, quotidiane, a volte addirittura volgari”.
Pirandello non si discosta mai da un riferimento al dato reale. Per questo, predilige la rappresentazione di oggetti comuni, di fatti intimi, domestici e di vita quotidiana, rievocazioni di una realtà scabra, percorsa da spasimi sensuali e drammatici. Da qui sviluppa una linea poetica del dubbio metodico su una realtà che non è mai quella che sembra e una narrazione di essa percorsa da una forte drammaticità esistenziale e materica (“Volpe”, 1942 ca., olio su tavola): la realtà, quindi, come invenzione che ciascuno di noi fa del mondo che percepisce. Anche le esperienze astratte e cubiste sono viste e vissute dal pittore come problematiche del tempo in cui vive e dunque modi del suo linguaggio.
L’artista ha accompagnato il suo lavoro di pittore con un diario inedito, di pensieri mitici, riflessioni filosofiche ed estetiche. Scrivendo di sè stesso annota: “Io che mi trovo ad avere la stessa maestà comica del cammello, il suo incedere dinoccolato e superbioso, eretto e scalcinato, rispondendo ad un amico che gli chiedeva notizie e documenti sulla sua vita così affermava in modo umile e sconsolato: non conservo più nulla ho gettato via tutto, non mi va nemmeno di pensare a tutta quella lagrimevole trafila che è stata la mia sgangherata esistenza”
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Grande tanto quanto il più famoso babbo !!!