Da una parte, il percorso storiografico, offertoci dagli Spadon è abbastanza lineare: con grande semplicità documenta l’evoluzione dell’artista dagli inizi pollockiani e pop fino al progressivo recupero nella tela della figura, delle icone, o meglio, dei simboli. Quindi, anche zummando sguardo e attenzione, tra le opere esposte alla Morone si percepisce sensibilmente la presenza ombrosa (e rumorosa) dell’ultimo Chagall, col suo caos di simboli e di elementi onirici, posti sulla tela dal nostro, con un minor genio espressivo unito ad un tratto più disciplinato, composto.
Dall’altra, appurato questo, si può (e si deve) andare oltre, perché a ben vedere il simbolismo surreale del Maestro russo in realtà è l’occasione che a Davie serve per liberarsi della furiosa libido creativa dell’Action Painting, così come dell’immaginario un po’ esclusivo dei colleghi della Pop Art: la meta del percorso creativo di Davie, fin dagli anni Settanta (l’allestimento della Morone non lo chiarisce abbastanza, coprendo per lo più gli ultimi anni d’attività), è di colorare di vero magma primitivo e d’incombente incendio mistico i simboli che bypassano le orchestrine e i matrimoni Yiddish della lezione russa per fissarsi in veri archetipi protostorici ed extraeuropei, quali: il Grande Serpente (amerindiani), Occhio divino (zen, tradizione misterica), le Pietre Sacre (i Celti), per finire in figure geometriche che fanno pensare all’alchimia e all’ermetismo pitagorico medioevale.
La vena pittorica di Davie, nei quadri più vivaci, è un fluire e rifluire di simboli sacri in cerca di un’allogazione, di una casa, di un posto sulla tela (ben sapendo che si tratta di un posto comunque transitorio, mai ultimo, definitivo): non solo pittura istintuale, quindi, ma vera e propria passione mistica, perché il genio, usando le sue parole, ha lo scopo preciso di farsi cammino verso la divina Natura nascosta nell’uomo: “l’arte è un fondamentale atto d’esistenza che è fuori e dietro il sapere”.
Purtroppo tutto questo noi lo possiamo cogliere quasi esclusivamente nell’ultimo decennio dell’artista, pervaso da un ordine compositivo a volte fin troppo risolto, svuotato della felice tensione ben visibile in certe opere a cavallo degli anni Settanta-Ottanta, dove si percepiva l’atmosfera di scoperta e di avvenuta maturazione (liberazione) e di recupero in chiave salvifica dell’elemento naif istintuale: una vera soglia socchiusa per dimensioni interiori troppo spesso recluse e dimenticate.
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M.W.
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Spero di andarci al piu' presto con il mio carissimo amico NICOLA DI CAPRIO!!! Me ne ha parlato di questa mostra e credo che debba essere molto interessante!!!!
Anche se nell'articolo si dice che le opere presenti in galleria non coprono gli anni più fertili e liberi di Alan Davie, penso comunque sia una mostra da non perdere, perché almeno possiamo vedere qui in Italia il suo lavoro.