10 aprile 2020

Gallerie ai tempi del distanziamento sociale: Matèria

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Matèria, galleria di base a Roma e fondata nel 2015, è protagonista del nostro nuovo appuntamento con le opinioni sul sistema e sul post Covid-19

matèria covid-19
Giuseppe De Mattia, Esposizione di Frutta e Verdura, vista della mostra MATÈRIA. Foto di Roberto Apa

In questi giorni di emergenza Covid-19 e di chiusure forzate, abbiamo deciso di dare voce alle gallerie più attive in Italia, per raccogliere il loro punto di vista sulla situazione attuale e sul futuro: il nuovo appuntamento è con Matèria, galleria romana con base a San Lorenzo, fondata da Niccolò Fano. Per leggere tutte le interviste ai galleristi visitate la sezione Gallerist.

Come avete riorganizzato il vostro lavoro?

«Per ora abbiamo messo tutto in pausa, spostando e confermando tutti gli impegni in programma con i nostri artisti, compresa la personale di Mario Cresci la cui inaugurazione si sarebbe dovuta tenere il 7 aprile, a celebrare i 5 anni della galleria. Mantenere un orizzonte progettuale diventa di vitale importanza, è la luce in fondo al tunnel.

Il periodo drammatico e distopico con il quale ci stiamo confrontando impone a tutti un allontanamento forzato da tutte le consuetudini e le certezze costruite negli anni, evidenziando in maniera plateale le virtù, le incongruenze e le aree grigie del nostro presente ma soprattutto del nostro settore. Tentare di trasferire l’idea di galleria/museo dallo spazio fisico all’online – utilizzando le stesse modalità operative – può risultare goffo, macchinoso e inadeguato, ma allo stesso tempo inevitabile in situazioni critiche come quella che stiamo affrontando. Il surplus di iniziative online con il passare del tempo dovrebbe ridursi per fare spazio a contenuti e tempistiche più adatte al mezzo. Questa crescita qualitativa passa per un periodo fisiologico di assestamento dove gli errori fanno parte della natura stessa della crescita. Ben venga, anche perché la web literacy istituzionale e delle gallerie necessita di attenzioni specifiche che fino ad oggi sono mancate per via dell’impegno richiesto dallo spazio fisico, il calendario che scoppia e l’apparato burocratico nascosto dietro le quinte. Non sarà contenta una piccola componente di operatori che avendo creato la loro identità online su basi intellettualmente fragili, vedono il loro status a rischio – come se l’online fosse un mezzo di propria esclusiva competenza. Questo cambiamento andrà a vantaggio di tutti e spingerà gli operatori sopracitati a migliorare, confrontandosi con un numero molto più vasto di operatori e contenuti – costringendo chi ha trovato nell’online un terreno fertile per accrescere il proprio profilo a rivalutare le proprie motivazioni nel momento in cui il payoff per l’ego comincerà a erodersi.

Purtroppo anche per chi cerca il lato positivo, possiamo fare tesoro di poche cose; in primis l’accelerazione della didattica online a livello nazionale; in secondo luogo abbiamo il tempo e l’occasione – forse per la prima e ultima volta – di guardarci indietro e riflettere su come costruire ciò che abbiamo davanti.

Questo periodo lontano dalla galleria ci ha permesso di sviluppare con maggiore attenzione Pillow Talk, un progetto che abbiamo in cantiere dal 2019 e che per via dei troppi impegni abbiamo lasciato nel cassetto. Pillow Talk, è una piattaforma online dedicata alla divulgazione live e in podcast di contenuti culturali e artistici legati al contemporaneo. Il lancio è previsto per inizio aprile e speriamo possa diventare un mezzo in più per favorire un dialogo allargato sulle idee che riguardano la costruzione del nostro presente e futuro».

Quali misure metterete in atto per attutire le difficoltà previste per il 2020?

«Credo che le difficoltà reali si potranno valutare con cognizione di causa solamente con il passare del tempo e mettendo a fuoco l’entità del danno umano, sociale ed economico che inevitabilmente ci si presenta davanti. A maggior ragione questo periodo diventa utile se impiegato per riflettere su come vogliamo strutturare il nostro settore nei prossimi 20 anni. La forma del nostro futuro è un tema che affrontiamo spesso in galleria e sul quale stiamo ragionando con i nostri artisti, soprattutto in questi giorni. Probabilmente la ricaduta sarà pesante per un settore come il nostro, fatto di piccole e medie gallerie che supportano tanti artisti emergenti ai quali vengono riconosciute pochissime tutele.

Strutturalmente la galleria è già predisposta per far fronte alle difficoltà di un settore precario, abbiamo aperto cinque anni fa in piena crisi finanziaria. Ormai da un paio di anni abbiamo adattato il nostro programma in funzione della sostenibilità a lungo termine per i nostri artisti; diminuendo il numero di mostre per favorire un lavoro più accurato e di qualità per i progetti in galleria, garantendo i mezzi economici necessari ai nostri artisti per supportare la loro produzione e in futuro – speriamo – tutti i loro sogni. Era difficile prima del COVID-19 e sarà sicuramente più difficile andando avanti. Se lo tsunami sarà più devastante del previsto la contrazione del programma si accentuerebbe per tutelare maggiormente la stabilità del progetto e chi ne fa parte, garantendone la vita futura».

Qual è il più grande ostacolo che sarete costretti a superare nei mesi a venire?

«L’incertezza e la precarietà. Come accennato sono problematiche con le quali ci siamo sempre confrontati apertamente con i nostri artisti, collaboratori e fornitori con l’obiettivo di trovare soluzioni adeguate insieme. Spero che questo tempo di distanza forzata possa favorire una riflessione accurata sulla sostenibilità del nostro settore.

Oggi, l’enfasi sulle motivazioni delle nostre scelte diventa ancora più importante e spero che prima di decidere come e quando tornare negli studi, nelle gallerie e i nei musei, si torni a riflettere sul perché facciamo questo lavoro e su come le nostre scelte e i nostri obiettivi incidono a lungo termine sul nostro settore. Purtroppo ho la sensazione che invece di parlare di sostenibilità, si tornerà ad una frenesia data dalla produzione enorme di lavori artistici che scaturirà da questo periodo. Vogliamo davvero ributtarci nella stessa mischia di prima con una gara a chi fa la mostra o il lavoro più interessante sulla crisi in atto? La sostenibilità collettiva viene costruita con le scelte individuali, abbiamo l’occasione di riflettere prima di agire. Sfruttiamola». 

Quale credete sia la debolezza più evidente che il sistema dell’arte ha mostrato in queste settimane?

«Le debolezze ci sono sempre state, la crisi le ha solo messe a nudo. Questa situazione ci rende inevitabilmente più umili e spero che questo periodo serva a ridimensionare la componente narcisistica e di auto-promozione che ha reso il nostro settore estremamente miope e superficiale. Il risultato è un inevitabile indebolimento del tessuto comune e del concetto stesso di qualità, che negli ultimi anni ha subito l’involuzione che porta ad associare lo status online e la cura del profilo pubblico alla qualità e alla competenza.

In un sistema dove la meritocrazia è estremamente difficile da definire per via della natura soggettiva dell’arte, abbiamo bisogno di delegare il discernimento della qualità ad una classe dirigente che si identifica sulle basi di competenze culturali e umane, affiancandole a strategie economiche di stampo pragmatico e tangibili nel lungo periodo. La bolla è scoppiata. Spero quindi, in una rinnovata consapevolezza rispetto agli obiettivi personali e l’impatto di tali aspirazioni sugli altri. Non abbiamo l’occasione di ripartire da zero, ma abbiamo l’opportunità di creare un contraddittorio al dogma che ha puntato tutto sulla gratificazione immediata e poco sulla sostenibilità futura».

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