L’utilizzo prevalente di stoffe e fili non fa l’artista, proprio come non è l’abito a fare il monaco. Questo perché la specificità poetica di Elizabeth Aro (Buenos Aires; vive e lavora a Milano) non viene decantata solo dai materiali, né dalla blasonante riesumazione della macchina da cucire, strumento prettamente femminile in Argentina e nell’immaginario collettivo utile a qualsiasi casalinga immersa tra orli e ricami. O perché, introducendo il suo lavoro, l’artista dice «sotto l’ago passo di tutto, sperimento diversi materiali». Più a monte c’è qualcosa molto meno esotico per l’intellighenzia dello Stivale, e sta nell’atto di piegare la macchina al proprio volere, sovvertendone con spirito d’iniziativa “alla Munari” la funzionalità. E il cerchio non è ancora chiuso, c’è ancora quell’agire in ottica munariana ma con mentalità femminile, con un’azione che rivendica la propria appartenenza ad un genere senza sentirsi migliore o peggiore, senza dover urlare o mettere striscioni. Senza mascherarsi da uomo o sentirsi una wonder woman.
Arte come processo disfunzionale e femminile, convogliato ad esempio nell’insolita ibridazione tra citazioni di Man Ray e ritmate serie di punti d’oro ricamati a macchina; un filo, passato e ripassato sulla carta fotografica con attenzione, con una propria regolarità nel formare sottili aloni allegoria del sogno, che è «quella fase in cui la persona è pienamente libera» come racconta l’artista. Un’azione dal background sibillinamente provocatorio nel momento in cui affida tutta la sua delicatezza al ruolo di un ago, elemento che per logica di delicato non ha proprio un bel nulla. Probabilmente – e nessuno se la prenda a male – una mente maschile non ci sarebbe arrivata, per svariate ragioni.
Elizabeth Aro – Provisorio para siempre – installation view – courtesy C+N Canepaneri
Curare la variabilità del mezzo espressivo è la chiave del successo in una personale tanto mixed media come “Provisorio para siempre”, titolo preso a prestito da un modo di dire molto utilizzato in Argentina. «Lo diceva sempre mio papà» racconta la Aro, facendo capire come dall’unione di tutti i suoi lavori in questa personale trasudi un vissuto, una visione antropologica applicata all’arte contemporanea. E nel suo essere artista la Aro è un po’ antropologa dei due mondi, ed è questo a rendere le sue operazioni qualcosa di unico nel panorama contemporaneo, anche nel loro innegabile fondo decorativo. A restituirle perciò la capacità di vestire i panni della fotografa per concentrarsi su scatti che indagano il linguaggio universale e simbolico delle mani, vera novità di questa personale; per tornare poi nuovamente ad utilizzare la macchina di sproposito, piegando l’ingessata creatività del macchinario e dei suoi punti cadenzati a qualcosa di libero, la sua razionalità in un linguaggio imprevedibilmente narrante. Un cucito concettuale nella compressione che attua sui The Others, figure di migranti incerte della propria presenza e chiuse dentro sedicenti “bolle” di filo colorato, sviluppate dall’artista con un atteggiamento compulsivo di tutto rispetto espressionistico. Inevitabilmente, come conferma la Aro, «il filo diventa un elemento pittorico», un tratto grafico riadattabile in intensità ed a volte talmente ripassato da diventare aggettante, plasticamente simile ad un bassorilievo, per la precisione allo “stiacciato” di donatelliana memoria.
Azione e materiali, azione sui materiali che per la Aro si traduce nelle pesanti fantasie di stoffe imbottite che «si sono stancate di rivestire divani» e ricucite, ad esempio, sotto forma di astrazione grafico-individuale (come spiega la Aro «una scritta in cui ognuno può leggere quello che vuole») in operazioni come Written shape. O nel grosso albero in etereo broccato bianco che dà titolo alla mostra, in cui l’artista enfatizza l’uso del colore dicendo «il bianco è quello che c’è dentro di noi, simbolo della vita» e di un tessuto che a suo dire «è come la pelle», lavorato a contrasto con la ruvidità pungente della grande struttura in legni di recupero che ne sostiene – e certifica – la provvisorietà. Invitante ed accogliente, «il bello di quest’installazione e di essere riadattabile, prende la forma di ogni spazio» spiega la Aro. Provvisorio – e site specific – per sempre.
Andrea Rossetti
mostra visitata il 24 novembre 2017
Elizabeth Aro – Provisorio para siempre
C+N Canepaneri
Via Caffaro 22r – (16124) Genova
Orari: dal lunedì al venerdì, ore 10-13, 14.30-18.30; sabato su appuntamento
Info: +39 010 2466316; info@canepaneri.com