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04
dicembre 2009
I presupposti artistici da cui
muove la ricerca di Sancho Silva (Lisbona, 1973) per la sua terza esposizione presso la
galleria genovese sono principalmente due: la poetica dell’objet trouvé e la rivisitazione del concetto
di site specific in object specific.
Partendo dalla seconda
considerazione, è chiaro come non siano gli spazi espositivi a interessare in
questo caso il lusitano, bensì ciò che lì viene posto e in base a quale
criterio sia scelto un oggetto piuttosto che un altro. Qui entra in gioca la
prima delle premesse di cui sopra, vale a dire perché un elemento abbia la
dignità di essere elevato al rango di opera d’arte e altri siano solamente
oggetti d’uso quotidiano.
Non siamo di fronte a una
questione nuova, ma è il metodo d’analisi – perché di questo dobbiamo parlare,
di fronte a un matematico e filosofo come Silva – che gli dona nuova linfa. In
particolare, è apprezzabile il fatto che tra le sei opere se ne trovino una “fluttuante”
(The Miracle of the Hovering Cow),
due elettriche e tre “archeologiche”, in un alternarsi di punti di vista e
impostazioni mentali.
Guardare il veloce moto di un
cucchiaio illuminato da luci alternate (Unstable Spoon, 2009) rende ad esempio subito
consci delle svariate identità del cucchiaio stesso, le quali cambiano a
seconda dell’uso che se ne fa, della sua posizione e di chi lo stia
utilizzando. Allo stesso modo, la scopa alla cui estremità del manico è posto
un ventaglio (Hybrid Object, 2009) lascia aperta la possibilità che si possa trattare
anche di un piccolo ventaglio verde al quale è stata unito uno spazzolone
plastico.
Poi, riprendendo l’epistemologia
moderna – secondo la quale l’oggetto viene delimitato in base alla sua funzione
– Silva, per sillogismo, giunge a identificare l’opera d’arte con l’immondizia,
cioè in una serie di oggetti decaduti rispetto all’idea di funzionalità (Fragments). Vale a dire che “i pezzi di rifiuti frantumati
non possiedono più la dignità o la capacità di rappresentare granché. Nel
decadimento dell’immondizia in una sostanza amorfa, si intravedono le ombre
degli oggetti estetici generici. Implicita nella funzione-immondizia giace la
funzione estetica centrale”.
Tutto ciò è ancora più vero se si
considera che questi oggetti straordinariamente comuni sono esposti in teche di
legno che rimandano ai musei archeologici e che lasciano immutata la loro
immagine di oggetto. Quel che cambia, però, è come vengono offerti allo
spettatore. E questa non è solo arte, solo filosofia o solo matematica; questa,
signori, è politica.
muove la ricerca di Sancho Silva (Lisbona, 1973) per la sua terza esposizione presso la
galleria genovese sono principalmente due: la poetica dell’objet trouvé e la rivisitazione del concetto
di site specific in object specific.
Partendo dalla seconda
considerazione, è chiaro come non siano gli spazi espositivi a interessare in
questo caso il lusitano, bensì ciò che lì viene posto e in base a quale
criterio sia scelto un oggetto piuttosto che un altro. Qui entra in gioca la
prima delle premesse di cui sopra, vale a dire perché un elemento abbia la
dignità di essere elevato al rango di opera d’arte e altri siano solamente
oggetti d’uso quotidiano.
Non siamo di fronte a una
questione nuova, ma è il metodo d’analisi – perché di questo dobbiamo parlare,
di fronte a un matematico e filosofo come Silva – che gli dona nuova linfa. In
particolare, è apprezzabile il fatto che tra le sei opere se ne trovino una “fluttuante”
(The Miracle of the Hovering Cow),
due elettriche e tre “archeologiche”, in un alternarsi di punti di vista e
impostazioni mentali.
Guardare il veloce moto di un
cucchiaio illuminato da luci alternate (Unstable Spoon, 2009) rende ad esempio subito
consci delle svariate identità del cucchiaio stesso, le quali cambiano a
seconda dell’uso che se ne fa, della sua posizione e di chi lo stia
utilizzando. Allo stesso modo, la scopa alla cui estremità del manico è posto
un ventaglio (Hybrid Object, 2009) lascia aperta la possibilità che si possa trattare
anche di un piccolo ventaglio verde al quale è stata unito uno spazzolone
plastico.
Poi, riprendendo l’epistemologia
moderna – secondo la quale l’oggetto viene delimitato in base alla sua funzione
– Silva, per sillogismo, giunge a identificare l’opera d’arte con l’immondizia,
cioè in una serie di oggetti decaduti rispetto all’idea di funzionalità (Fragments). Vale a dire che “i pezzi di rifiuti frantumati
non possiedono più la dignità o la capacità di rappresentare granché. Nel
decadimento dell’immondizia in una sostanza amorfa, si intravedono le ombre
degli oggetti estetici generici. Implicita nella funzione-immondizia giace la
funzione estetica centrale”.
Tutto ciò è ancora più vero se si
considera che questi oggetti straordinariamente comuni sono esposti in teche di
legno che rimandano ai musei archeologici e che lasciano immutata la loro
immagine di oggetto. Quel che cambia, però, è come vengono offerti allo
spettatore. E questa non è solo arte, solo filosofia o solo matematica; questa,
signori, è politica.
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fausto capurro
mostra visitata il 28 novembre
2009
dal 23 ottobre al
10 dicembre 2009
Sancho Silva
Pinksummer –
Palazzo Ducale
Piazza Matteotti, 28r – 16123 Genova
Orario: da martedì a sabato ore 15-19.30
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0102543762; info@pinksummer.com; www.pinksummer.com
[exibart]
ahhhhhhhhh…l’oggetto trovato no……non ne possiamo più…………