La sede c’è, l’artista si e no. Personale sotto il segno della discontinuità per Laura Zeni, in mostra alla Galleria d’arte Moderna di Genova con Passwor(l)d, rendez-vous non propriamente di fuoco tra la contemporaneità dell’artista e la contemporaneità trapassata delle opere otto-novecentesche custodite all’interno del sontuoso museo. Dinamica espositiva non tra le più indolori del pianeta, in cui è tassativo un solido lavoro d’equipe curatore/artista per arrivare a buoni interventi di match. Non c’è quindi solo la necessità di validi presupposti critici, che qui alla fine esistono pure, ma ancor di più che l’artista chiamato ad interfacciarsi chieda sempre “permesso” e non entri spalancando di colpo la porta, invadendo sfacciatamente situazioni artistiche non sue. È come se spesso e volentieri la Zeni, convinta o meno, trovasse poco senso nei contesti in cui s’è andata ad infilare. Con buone intenzioni tangibili, che tuttavia incappano in qualche incomprensione di troppo.
Molte opere, troppe anche se l’obiettivo è riempire tre piani di museo, quando sicuramente una selezione più minimal avrebbe giovato dando più coerenza all’impianto, nonché evitato qualche momento di crash ad un’artista che s’inserisce “a tradimento” nel circuito museale, entrandone a far parte in maniera piacevolmente sfuggevole e quasi invisibile. O al contrario un po’ troppo visibile, come con le grandi tele Context e Red Context, dove acrilici dal segno “ignorante” e silhouette umane poco hanno da rapportarsi alle altrettanto gradi tele di Nicolò Barabino. Ecco, a parte per le dimensioni, abbondanti in entrambi i casi.
C’è a volte una forzatura di fondo nell’incontro tra differenti stati d’arte, come per la sagoma in bagno di stoffa di Change your Wor(l)d posizionata ai piedi del vedutismo visionario di Tetar van Elven, che sembra cadere nell’effetto paradosso e tramutarsi quasi in banalizzazione del nesso logico. Stessa sorte di opere pensate apposta per l’evento, elaborando in maniera molto diretta quell’ideale scarto tra passato e contemporaneità al centro della mostra; ovvero quando la Zeni si sovrappone alla Fanciulla con ciliegie di Cesare Viazzi rielaborando la riproduzione dell’opera in un collage che imita la sagoma di due grandi ciliegie. Poca roba. Lo stessa idea applicata a I pittori di Ernesto Rayper arriva ad una soluzione più sensata, decostruendo l’opera sul piano visivo per duplicarla come oggetto puramente cromatico-estetico. Non male.
In medio stat virtus. Sui tre piani di mostra è proprio quello intermedio a regalare più soddisfazioni, dove si registra la buona sistemazione della tela Lo scorrere del tempo, in cui il piacere grafico del pattern umanoide – fermato un attimo prima che assumesse connotazioni troppo alla Haring – diventa certezza; se ne sta comoda, senza nemmeno troppi perché, tra due imponenti sculture – L’autunno in bronzo ed Il pensiero in gesso – di Edoardo De Albertis. O la convincente ascensione Dal cielo al mare, brandelli di cotone che legati e appesi producono un piacevole confronto tra rigidezza formale complessiva e malleabilità di ogni singolo filamento; l’abbinamento con il simbolismo quasi fauve di Rubaldo Merello ci sta, anche se nel confronto i cromatismi della Zeni – pur ben realizzati – assumono un’immancabile mosceria. E infine un asso nella manica, l’incontro con l’eterea Convalescente di Arturo Martini ne La cura, installazione in cui l’artista coccola l’opera martiniana facendole supportare a trecentosessanta gradi l’inserimento nel suo mare di libri dipinti, sparsi e accatastati. Vero è che di fronte ad un lavoro dello scultore di Treviso si resta facilmente in catalessi, e tutto quanto disposto di contorno potrebbe andar bene praticamente a prescindere. Ancora in area Martini la Galleria offre un San Giovanni Battista e una Vittoria Alata, piccole sculture con cui la Zeni viene in contatto condividendo – almeno parzialmente – quella sensibilità plastico-martiniana per il moto attraverso i corpi-pattern delle sue Geometrie femminili.
Elemento insindacabile per un’intera personale – e una donna divisa tra il ruolo d’artista e quello di designer – sono però le ossessive teste-pattern dipinte ad acrilico o plasmate in filo di ferro, che nell’azzeccato autoritratto globale Io e la foll(i)a trovano finalmente senso compiuto/sfogo decorativo come grafismo cool per una striscia di carta da parati. Divenendo l’ipotetico must-design pronto a rivestire le pareti di appartamenti rampanti.
Andrea Rossetti
mostra visitata il 23 novembre 2016
Dal 13 novembre 2016 al 12 febbraio 2017
Laura Zeni – Passwor(l)d
Galleria D’arte Moderna
Via Capolungo 3 – Genova
Orari: da martedì a domenica, dalle 11:00 alle 17:00
Info: +39 010 3726025 – 010 5574739; biglietteriagam@comune.genova.it; www.museidigenova.it