Nelle cinque sale di Palazzo Stella, antica residenza nobiliare, è in mostra la personale di un maestro dello Spazialismo,
Turi Simeti (Alcamo, 1929). L’artista siciliano ha mantenuto una profonda coerenza nel proprio lavoro. Dopo la conclusione del primo periodo informale, ha portato avanti la tradizione del movimento al quale aderì già da quando, nei primi anni ‘60, cominciò a frequentare lo studio milanese di
Lucio Fontana. Nella sua lunga carriera, Simeti potè confrontare e sviluppare la propria ricerca plastica in relazione con quella di altri grandi del Novecento quali
Enrico Castellani e
Agostino Bonalumi. Le tele esposte a Genova sono state realizzate per la maggior parte tra il 1990 e il 2004, periodo di particolare successo per la pittura-scultura dell’artista, mentre altre testimoniano degli esordi dei suoi studi.
Le campiture rigorosamente monocrome sono realizzate con colori acrilici e smalti, in maggioranza nelle tonalità del rosso, del blu e del bianco. Marcate estroflessioni movimentano la tela attraverso la creazione di forme ellittiche e ovoidali, che trasformano la bidimensionalità della tela in oggetto, in quanto tale tridimensionale.
La scelta di forme di questo tipo, siano esse concave o convesse, non è casuale: sono portatrici di un profondo significato simbolico legato alla forma dell’uovo, tradizionalmente immagine di vita e rinascita. Inoltre, la morbidezza delle linee e dei contorni che si aprono verso l’esterno crea un rapporto dialettico con lo spazio espositivo, che è invaso quasi violentemente ma allo stesso tempo accolto come parte integrante dell’opera.
Lo spettatore è introdotto, allora, a una ricerca spaziale che coinvolge la superficie, rendendola dinamica e in continuo movimento. Il supporto diventa anche materia da modellare: la scelta di utilizzare un’unica tonalità, per di più dall’aspetto fortemente sintetico, gli conferisce un valore aggiunto materico. La tela allora è modificata, sagomata, rifinita. Lo stesso telaio, da rettangolare spesso assume forma circolare. L’artista interviene con abilità tecnica su di essa, realizzando strutture che rendono anche il retro del quadro un’opera.
In questo senso, non è più corretto parlare di pittura. È più appropriato definirla “scultura”, perché di essa conserva, oltre alla matericità, anche la tridimensionalità e la possiblità di essere modellata, assumendo le più diverse forme. Ciò che resta della pittura è la qualità tecnica nella realizzazione di tele sulle quali il colore è steso in modo magistrale.