Narratore di novelle e creatore di emozioni.
Fabrizio De Andrè (Genova, 1940 – Milano, 1999) – Faber, come lo aveva soprannominato il grande amico Paolo Villaggio – lo si può incontrare, ancora una volta. Ma non fra strade e carruggi, e nemmeno in fumosi concerti, ma in una mostra, nella città che gli ha dato i natali e a cui voleva ricongiungersi alla fine del suo percorso di vita: Genova. Città di porto, di “
meticciato”, con “
quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori”, con le viuzze strette che dal porto salgono al centro, dove s’incontrano i personaggi più diversi, quei “
gatti randagi” cantati e raccontati nelle strofe delle sue canzoni.
Il cammino di De Andrè iniziò sulla pavimentazione sconnessa e umida del carruggio di via del Campo, continuazione di via Prè, strada del porto molto frequentata di notte, in quei “
quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, ricchi di quell’humus umano che ha ispirato parte della sua poetica, fatta di ladri e prostitute, di vinti e bombaroli.
A dieci anni dalla scomparsa, avvenuta l’11 gennaio 1999, il capoluogo ligure rende omaggio a uno dei suoi cittadini più illustri, per molto tempo tacitato dai media nazionali e da poco “ritrovato”. R
acconti di vita, musica, esperienze, carteggi e fotografie possono essere scoperti o rivissuti, sia dallo spettatore che ha avuto la fortuna di assistere ai suoi concerti, sia da chi, soprattutto per una questione anagrafica, non è riuscito a viverlo “da vicino”.
Organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura insieme alla Fondazione Fabrizio De André, la mostra è un vero e proprio percorso interattivo, suddiviso per aree tematiche e cronologiche, organizzato in modo da rendere il racconto e la rappresentazione visiva, testuale e musicale piena di significati e suggestioni.
L’amore, la libertà, la guerra, gli ultimi o l’anarchia sono i grandi temi attraverso cui si snoda il percorso conoscitivo ed espositivo dedicato a De Andrè. Gli anni dell’adolescenza, quelli della passione per i cantautori e poeti francesi, come Georges Brassens con le sue
Passanti, fino alla sperimentazione in lingua genovese di
Creuza de mä, in un’autentica riappropriazione delle proprie radici.
Ci si può sedere a terra e ascoltare i brani, accompagnati da immagini di giullari, trapezisti, artisti circensi. Sono i personaggi a cui Faber si è ispirato: Bocca di Rosa simbolo di libertà sessuale; Michè suicida per amore; il Giudice nano-vendicatore; Piero ucciso in maggio da una stupida guerra; il Pescatore dal viso segnato, capace di mettere in atto il concetto di
pietas, sinonimo di misericordia e amore per il prossimo. È possibile rivivere, attraverso alcune scenografie originali delle tournée, l’atmosfera dei concerti, con i giganteschi tarocchi, i falsi d’autore, le grandi vele e le reti da pesca.
Cinque sale in cui si raccontano i temi conduttori della sua vita. Nella prima, la più grande, la parete destra è un fiume in piena, con parole scritte con la sua grafia, ricavata dalle stesure provvisorie o meno di alcune canzoni: dalla
Canzone del Maggio a
Creuza de mä, fino al work in progress de
La domenica delle salme e alla versione spagnola di
Smisurata preghiera.