Bojan Sarcevic, nato a Belgrado nel 1974, vive e lavora a Parigi dove ha appena partecipato alla mostra Traversées al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea. In questi giorni è in Italia con la sua prima mostra personale presso Pinksummer.
Per l’occasione, l’artista ha creato appositamente una grande installazione composita, che traccia un percorso di sensibilità e memoria tra le stanze, scandite dalle tappe emotive di fotografie, disegni e sculture.
La ricerca di Sarcevic è focalizzata su ciò che rompe l’equilibrio della simmetria, sulla disomogeneità : l’artista s’interroga sull’identità che muta in rapporto all’esperienza, sulla permeabilità della vita e del ricordo rispetto alle influenze esterne.
A questo proposito l’artista spiega “Non credo che l’esistenza sia una struttura, ma piuttosto che necessiti di una struttura appropriata per apparire, manifestarsi nella sua autenticità . Un’esistenza non esiste che in un campo delimitato. S’inscrive da qualche parte: in un luogo, un momento, in un rapporto. Una situazione o un luogo da soli non fanno mai nascere qualche cosa. La nascita si produce dall’incontro di due strutture preesistenti: da una parte c’è il mio sguardo e tutta la sua storia e dall’altra un luogo che anch’esso ha una storia. Ciò che si produce dall’incontro di questi due elementi, l’adeguamento che ne risulta non può essere determinato per addizione come se si trattasse di un calcolo. L’alchimia fa uscire qualcosa di nuovo, di imprevedibile e tuttavia in un certo senso di necessario. E ciò che accade in questo modo s’impone all’esistenza e sussiste in sé e per sé nell’oblio di ciò che l’ha generato.“
L’esistenza e la percezione dell’esistenza sono così il risultato di infinite, ineffabili combinazioni di tracce, lasciate consapevolmente o senza volere, o magari subite.
Per illustrare l’invito di questa mostra, centrata appunto sul tema delle tracce e degli avanzi, Pinksummer ha chiesto all’artista di scegliere un’immagine della storia dell’arte. Sarcevic ha scelto la foto di un monumento pubblico che a Teheran ricorda i soldati dispersi nella lunga guerra tra Iran e Iraq, un’opera durissima ed estrema, una fontana con l’acqua che scorre rossa come sangue.
Anche la fotografia fa ora parte dell’installazione, è una tappa emotiva e della memoria come il piccolo disegno a matita che racconta un sogno dell’artista e come la grande scultura in legno che occupa una delle sale, una grande catasta di parti di scarto ricostruita identica all’“avanzo” originale, come spiega ancora Sarcevic: “ho voluto mostrare delle immagini snap-shot: oggetti o cose che conservo nei miei taccuini senza avere mai pensato a considerarli come opere d’arte. Questi resti esistono solo in virtù dell’essere il risultato di processi: sono tardivi e mai originali. Sono ciò che, nel mio lavoro, non appartiene alla parte presa in “considerazione”.
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