È stata fotografa per le Nazioni Unite e molte ONG, ma in quel ruolo non si sentiva libera. Martina Bacigalupo (Genova, 1978) non ci si trovava, voleva stare a contatto diretto con la gente, soprattutto in un contesto socio-territoriale come l’Africa Sub-Sahariana, dove racconta «Sei sempre l’altro, il bianco, l’occidentale». Pelle a parte, quel che conta per lei – e che traspare dalla micro-antologica “Sul guardare. Appunti africani, 2007-2017” – è «cercare di condividere un’idea» coi protagonisti dei suoi scatti, non instaurare un rapporto master/slave o percepirsi migliore/peggiore rispetto ad essi, né darli in pasto agli sguardi pietistici di borghesotti sicuri delle migliaia di chilometri che li separano da quell’esotismo. Pelle non a parte invece, i suoi lavori ci ricordano quanto sia fondamentale saper gestire la “diversità”, parola non orripilante di per sé e soprattutto – preme dirlo – indipendente tanto da inutili buonismi politicamente corretti, quanto da ottusi razzismi. Pensarla come un diritto da salvaguardare, piuttosto che condizione favorevole/sfavorevole.
Pasionaria della macchina fotografica, la Bacigalupo ha detto no, ha scelto di non nascondersi dietro il suo mezzo di lavoro cambiando qualche assunto fondamentale del mestiere, cestinando il linguaggio asettico e distaccato del reportage al grido di «siamo tutti umani». In conseguenza arrivano progetti che incarnano lo spirito della factory di “fenomenologia umana” piuttosto che di “fenomeni da baraccone”. Come Invito a ritrarsi, che immette nel gioco delle parti fotografo-soggetto il tarlo del non controllo del primo sul secondo. Non per sfizio d’artista, ma per necessità pratica di costruire un rapporto paritario che non si producesse in una visione distorta della realtà dei Batwa. meglio noti col nome di Pigmei (che ci assicura non essere affatto nani come voce di popolo vuole). Priorità per la fotografa era guardare «Dritto in faccia» chi sta davanti alla macchina e quindi «Riequilibrare gli spazi» con chi sta dietro. Quindi ha fatto la cosa più semplice e genuina che si potesse fare, ha detto «Ora ti do il telecomando». Come una performance a due, il rito della posa è diventato un selfie improprio e realistico nella trattazione del soggetto, a partire dalla sua reazione/capacità di soddisfare la richiesta, per poi passare ai tratti somatici, le rughe, gli abiti, la panca in legno grezzo e la terra che sporca il nero intonso del set. Demoltiplicando l’azione filtrante della fotografia, cucendo linee empatiche che nella loro trama non escludono un’innegabile tensione volumetrica, un’estetica quasi pittorica determinata anche dall’efficace utilizzo delle luci. Tanti scatti per arrivare a raccontare storie partendo da chi non c’è, quei Dispersi che la Bacigalupo ha raccolto in un’enciclopedia di gestualità personali, uomini e donne che stringono ognuno col trasporto che possono semplici fogli con su scritto il nome di un famigliare rapito durante la guerra civile nel Nord Uganda.
Martina Bacigalupo – Mi chiamo Filda Adoch – courtesy l’artista
Istantanea è partecipazione in modo particolare con Filda Adoch, donna Acholi chiamata ad auto-raccontarsi “sottotitolando” ogni suo scatto, raccontando con molta schiettezza che se la si vede portare fasci d’erba in testa ed in mano è perché la sua mucca «Ha molta fame». Istantanea è maturare un racconto per sottrazione, fino a mettersi in gioco come un ibrido fotografa/artista concettuale nella serie Gulu real art studio. Di quei piccoli scatti “acefali” non è l’autrice ma la “riciclatrice”, li ha recuperati ad un passo dalla spazzatura nell’omonimo studio fotografico di Acholiland per ricomporli su pannelli variabili. Perché erano da buttare? Perché avanzi di fototessere – motivo della testa mancante – in un paese dove farsi quattro vere fototessere è un lusso. Perché li ha salvati? Perché un unico doppio petto blu oversize passato di busto in busto, e che lo studio presta a chi deve aprirsi un conto da Barclays, racconta al meglio la vita di una popolazione, e lo stesso vale per la mimica delle mani, la postura o un abbigliamento a volte decisamente tipico del posto, altre con l’occhio rivolto ad occidente ed altre ancora molto evocativo se s’indossa una maglia con stampato Obama. Dettagli che oltre a non essere più tali assumono una forte valenza iconologica.
Andrea Rossetti
mostra visitata il 24 maggio 2018
dal 24 maggio al 23 settembre 2018
Martina Bacigalupo, Sul guardare. Appunti africani 2007-2017
A cura di Giovanni Battista Martini
Primo piano di Palazzo Grillo
Vico alla chiesa delle Vigne 18r – (16123) Genova
Orari: da mercoledì a domenica, ore 16 – 20
Info: www.hotelpalazzogrillo.it