Con il verso
Flower, flower, all all and all si conclude la poesia di Dylan Thomas, dalla quale la mostra prende il titolo. Una poesia forte nella scelta delle parole e dei contenuti; che racconta di una condizione, quella dell’uomo, sempre precaria, inevitabilmente in bilico tra gli eventi, tra bene e male. Alla fine del componimento, però, quelle parole suonano come un augurio, un buon auspicio in occasione dell’arrivo della primavera.
Così le opere in mostra, variando registro, esprimono il “bianco” e il “nero” della vita di tutti i giorni. La personale di
Daniela Carati (Bologna, 1964; vive a Genova) comprende scatti diversi,
all all and all appunto, distanti innanzitutto per le location scelte: dalla provincialissima Genova a Lipsia, città
middle-europea, e infine New York, la metropoli per eccellenza.
Sono immagini diverse per le persone ritratte: giovani, uomini, donne, bambini, anziani; visi più o meno anonimi o caratterizzati, sicuramente protagonisti di storie che a volte sanno di normalità, e in altre occasioni danno l’impressione di nascondere qualcosa che non è dato sapere. Ognuno di questi personaggi appare scollegato dagli altri; anche quando vi sono dei rapporti, avvengono fra coppie, che nella loro unione formano un solo soggetto davanti agli occhi dello spettatore.
Ognuna delle persone ritratte appare allora estremamente sola, anche quando intorno è presente una moltitudine d’individui. Come nello scatto che riprende
Patrick Mimran, autore di una performance in cui, vestito da coniglio, denuncia la propria solitudine (
I’m Alone and you?) girando per le strade di New York.
Ciò che però accomuna tutte le foto è il senso di estraneità dell’uomo rispetto al paesaggi che abita. Come figurine su uno sfondo, i personaggi che popolano le immagini danno l’idea di essere qualcosa in più, un’appendice annessa a un panorama che da sfondo e scenografia diventa protagonista. Persone come ospiti in un mondo nel quale non sono integrate, ove appaiono come presenze non necessarie, accessori insomma, oggetti inanimati come tanti altri.
Sono personaggi sull’orlo del baratro, sospesi in una dimensione di mezzo. Il cielo scompare e, in alcune immagini, il vuoto diventa materia e con il suo peso s’impone, minacciando d’inghiottire chi popola la foto.
Carati usa la fotografia analogica per cogliere l’attimo nella sua complessità. Su di essa, però, interviene digitalmente. E qui sta il gioco, nel montare insieme immagini diverse. Come quando da bambini si giocava a raccontare storie, inventandone una frase a turno; il risultato erano favole fantastiche.