C’è chi lo ricorderà per l’uso scultoreo della parola, chi per i lavori a biro di una caratura concettuale che faceva tanto Italia anni Settanta (leggasi Boetti), ma tutti sicuramente per i fiumi di petrolio che ha utilizzato, allegorico chiodo fisso della sua ricerca visiva. A si, poi c’è anche una controversa operazione alla Biennale di Venezia 2009, Padiglione russo.
Nulla di (troppo) nuovo sotto il sole genovese per Andrei Molodkin (Boui, 1966; vive e lavora tra Parigi e Mosca), che a Palazzo Ducale arriva – guarda caso – con un’installazione dominata dalla presenza vera e simbolica del petrolio. Quest’ultimo per Molodkin è e rimane l’elemento cardine da adattare ad ogni volumetria o circostanza; una fonte d’ispirazione sentita, inesauribile e concettualmente immediata (qua e là anche un po’ ai confini del trito), emblema del potere moderno e merce di scambio in grado di tenere le redini della politica mondiale.
Greggio – di provenienza irachena – profuso a litri, “intubato” in lunghi e stretti cilindri di plexiglass, a loro volta raccolti in strutture su cui grava l’ostentata simmetria con altri cilindri, questi contenenti del brillantissimo gas argon. Un mix di petrolio scuro e gas luminescente, posizionato su pavimenti marmorei che producono profondi riverberi di luce: tutto ciò è davvero sufficiente a destabilizzare percettivamente il pubblico e a farlo riflettere come si vorrebbe? Insomma. Più coerente forse è ritenere Transformer No. M208 un’onesta installazione ammiccante in termini di presenza scenica, ben costruita e a suo modo pretenziosa nei contenuti socio-politici proposti (ovvio, c’è di mezzo “l’oro nero”), ma per contro poco capace di volare più alto della sua immagine, visto che alla fine della fiera non sembra dire, o avere da dire, nulla di nuovo.
Possente nella sua formula a metà strada tra poverismo e minimalismo, questo Transformer venuto dall’est è in pratica un lavoro composto da quattro costruzioni divise in due diversi spazi, con una prima parte – nel fastoso Salone del maggior consiglio – formata da tre blocchi disposti in senso diagonale, tre gabbie aperte formate dai già menzionati tubi di plexiglass riempiti di petrolio o gas argon. Tre gate da percorrere come in una sorta di percorso catartico tra variazioni luminose, differenze termiche e ben poco lusinghieri telai di sostegno a vista.
Più di un collaudato cliché è l’abbinamento location-installazione, anacronismo che Molodkin ha strutturato come un’ideale matriosca contenente “potere nel potere”, metaforica congiunzione tra l’egemonia “petrolifera” odierna e i due luoghi simbolo del dominio temporale-spirituale ai tempi della Genova repubblicana: Salone del maggior consiglio e Cappella del Doge. Petrolio già sversato sul potere politico, petrolio che intacca impunemente anche un ambiente come la Cappella, dove il sacro si misura con la folle ricchezza ornamentale di tono seicentesco; e dove per tutta risposta l’artista ha impiantato un’unica struttura cruciforme bilanciata tra greggio e argon, la cui posizione di sbieco ha il gusto dell’irriverenza capitalistica ben studiata. A suo modo perfetta, ma un po’ forzosa nel ricordarci di un cortocircuito politico-spirituale fin troppo noto.
Andrea Rossetti
mostra visitata il 22 luglio 2014
dal 17 luglio al 24 agosto 2014
Andrei Molodkin – Transformer No. M208
a cura di Linda Kaiser
Palazzo Ducale
Piazza Matteotti 9 – (16123) Genova
Orario: da martedì a domenica, ore 10 – 19
Ingresso: € 5