Le
Nostalgie di ventinove artisti presentate attraverso il viaggio come spostamento fisico e mentale, ma anche come metafora della vita. Da un lato, la partenza da un luogo caro, che implica inevitabilmente il dolore del distacco e, di conseguenza, la nostalgia. Nostalgia che si traduce in ricordo del luogo, che generalmente è quello d’origine, in senso materiale e culturale, delle persone, degli usi e costumi. Nel secondo caso si tratta, invece, di una riflessione sull’esistenza, che implica anch’essa il concetto di viaggio: quello compiuto da ognuno di noi all’interno del confine della propria vita.
“
La nostalgia si nutre di desiderio. E il desiderio è figlio dell’assenza, della mancanza dell’oggetto amato”, scrive Claudio Feruglio. Così le valigie, utilizzate in alcuni lavori presenti in mostra, se da un lato simboleggiano il concetto di partenza e di non ritorno per
Zoe Leonard, che si riferisce al padre morto, dall’altro si legano al viaggio come reale momento di “illuminazione” per
Patrick Raynaud. Aeroporti e strade percorse, paesaggi urbani e naturali riportano a immagini fisiche ma anche mentali di un luogo, a volte ben definito altre volte meno, così come spazi vuoti, corridoi, stanze di ospedale che si fanno portatori di ricordi personali e al tempo stesso collettivi.
Un’indagine più prettamente esistenziale è condotta da
Tullio Brunone che, servendosi dei mezzi tecnologici, registra una labile immagine del nostro passaggio in
Forse noi stessi, sottolineando la precarietà della nostra esistenza. Siamo davanti alla telecamera ma, una volta fermi, scompariamo dal monitor, lasciando un’immagine fuggevole e indefinita, così come si presenta il ritratto di
Kelly Schacht,
Madammeke, intriso di una nebbia che affievolisce l’immagine e, con essa, il ricordo, dando risalto alla distanza da un tempo passato.
Diversi sono gli artisti che tentano invece di ricostruire la propria identità. Lo fa
Adrian Paci, che presenta persone di diversa origine ed estrazione sociale che hanno in comune soltanto il cognome, uniti idealmente e ironicamente sull’
Isola dei Paci; altri, come
Churchill Madikida, ricostruiscono criticamente e in modo sofferto le proprie origini. Identità personale che diviene collettiva nell’incisivo video di
Elisabetta Benassi,
Tutti morimmo a stento, dove l’artista compara la vita umana a quella di un’auto, destinata inesorabilmente, al termine del suo utilizzo, allo sfasciacarrozze. La mostra si chiude con l’installazione site specific
Camera obscura di
Emanuele Piccardo, che dal parco di Villa Croce invita a osservare il porto.
Non è un caso che una mostra sulla nostalgia, sul ricordo e sul tempo abbia luogo proprio in una città come Genova, la cui identità è storicamente quella di essere punto di partenza verso orizzonti lontani, e oggi al centro di flussi migratori. Una città in cui il trascorrere del tempo è ben evidenziato della fotografia di
Vincenzo Castella, nella quale emerge la segmentazione di stili architettonici ed epoche. Frammenti di tempo che compongono, come tasselli di un puzzle, l’identità della città.