La parola ghetto difficilmente richiama impressioni positive e i suoi abitanti spesso sono persone più o meno avulse dal resto della città. È paradossale considerare che a volte questi “soggetti a parte” non occupano un punto marginale del tessuto urbano, bensì vivono nel cuore della metropoli. Come a Genova, il cui ghetto è una zona centrale e importante a livello storico-culturale; una sorta di città nella città, un mondo a sé dove la prostituzione avviene in particolari negozietti e moltissimi cartelli multilingue invitano (sarebbe meglio dire “martellano”, ovviamente a ragione) gli abitanti a tenere pulito il quartiere. Un luogo magari da evitare, dal quale stare alla larga o al limite da attraversare con una certa circospezione. Qui interviene Leone Contini (Firenze, 1976), a cercare di spazzare via ogni tipo di diffidenza tra chi questa zona la vive e quanti si guardano bene dall’entrarci.
L’arte contemporanea va in trasferta, abbandona la galleria e si riversa nella realtà cittadina per trovare la sua ragion d’essere, nell’ambito di un progetto di più ampio respiro pensato per migliorare la vita in un quartiere critico di Genova. Pertanto se decontestualizzate le opere esposte non avrebbero senso, o perlomeno non quello desiderato dall’artista. Difatti ci vogliono i muri del ghetto, generalmente sporchi o imbrattati dagli spray, per fare da sfondo alle tredici fotocopie esposte da Contini, attaccate come fossero dei comunissimi cartelloni abusivi. Proprio qui sta un punto cruciale, perché l’artista mette in atto un continuo gioco di contrasti tra legale e abusivo, positivo e negativo, dove il primo vuole prendere il posto del secondo usando i suoi stessi mezzi.
E quindi questo “abusivismo” sotto un’apparenza negativa nasconde tutta la sua positività: le fotocopie non mostrano altro che vegetali (radici, erbe, ecc..) dalle proprietà curative, rappresentanti di un benessere psico – fisico reale e utile, contraltare perfetto di quello effimero derivante dalle sostanze stupefacenti che girano nei vicoli. Allo stesso tempo ogni manifesto si percepisce come rappresentazione dell’etnia che utilizza il vegetale riprodotto, evidenziando lo scopo dell’artista: aggregare un quartiere dalla struttura antropica frammentaria.
Di fatto Leone Contini propone un incrocio di braccia. “Inte brasse”, cioè “nelle braccia”: chi entra nel ghetto s’inserisce tra le braccia di questo e a sua volta ha la possibilità di abbracciare, imparando a conoscere, chi prima magari vedeva solo dal “di fuori”, passando per le vie che costeggiano la zona. Tutti, abitanti e non, sono chiamati ad inserirsi nel percorso tracciato da Contini, facendo tappa nella casa di quartiere GhettUp per avere la mappa dei manifesti e conoscere ciò che raffigurano, poiché sono privi di didascalie.
Ora, invece di essere associate ad azioni negative come drogarsi e picchiarsi, le braccia uniscono persone diverse tra loro per etnia e religione, riportandole ad essere parte di una sola umanità.
andrea rossetti
mostra visitata il 5 marzo 2012
dal 3 marzo al 3 aprile 2012
Leone Contini – Inte brasse
a cura di Chan e Stefano Taccone
Ghetto di Genova
Info: tel. +39 3385703963- info@chanarte.com – www.chanarte.com
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