Il Palazzo della Borsa, progettato da Alfonso Coppedè nel 1910, ospita nella Sala delle Grida una mostra di carattere storico-architettonico interessante e piacevole, che attraverso un percorso circolare, introduce immediatamente nell’atmosfera, ora fantasiosa dei futuristi, ora austera e funzionale del Regime.
Se costruire la città significa costruire la società, e se la società comunica se stessa attraverso la propria urbanistica, scopo del Fascismo era quello di fare propaganda servendosi dell’architettura cittadina: razionalità e rievocazione della gloria imperiale romana dovevano riflettersi in ogni aspetto dell’edilizia, pubblica e privata.
Ecco, dunque, che gli edifici pubblici dovevano richiamare edifici storici ideologicamente significativi. Dalla Casa del Fascio, espressione di assoluta adesione al regime, e, quindi, immediatamente riconoscibile, rievoca la torre comunale rinascimentale; allo yacht club che, riecheggiando Palazzo S. Giorgio, vuole legarsi all’antica potenza marittima.
Così la Casa del mutilato, con le bande di marmo rosso di Levanto, deve tenere desto il ricordo del sangue, del dolore, del sacrificio dei soldati. La razionalità strutturale, invece, che segue i dettami di maestri quali Le Corbusier e Gropius, è riscontrabile ovunque, tanto in città quanto nelle Riviere.
Gli edifici di Piazza Rossetti costituiscono un esempio di unità abitative costruite per l’alta borghesia, in cui non esistono facciate con decorazioni fini a stesse, ma in cui gli elementi architettonico-strutturali, aggettanti e rientranti, scandiscono i palazzi in modo naturale e funzionale; lo stesso a La Spezia, con la tentata reinterpretazione della Secessione Viennese da parte di Franco Oliva.
A Chiavari anche gli stabilimenti balneari dovevano presentare il rigore e la razionalità fasciste, e le colonie marine –uno dei punti di forza della propaganda- erano una sorta di Bauhaus (ideologicamente ribaltata), in quanto vivai di gioventù fascista e luogo di “rieducazione” il cui mobilio, tutto geometrico e coloratissimo, sembra una ripresa di quello del designer Rietveld.
medea garrone
mostra visitata il 5 Giugno 2004
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Brava, è veramente difficile narrare una città attraverso la storia della sua architettura, da sempre influenzata dal contesto socio/politico/storico/culturale.
Oltre ai complimenti, sentiti e non d'occasione, voglio esprimere la soddisfazione che provo nel leggerti e notare che non sei stata influenzata minimamente dalla tragedia del fascismo,che spesso non ci fa "vedere" per intero, devo confessare che gli esempi del razionalismo fascista in edilizia, presenti in tutte le città d'Italia, mi affascinano e non poco, anche perchè rappresentano il prototipo italiano della pianificazione urbanistica.
Di nuovo complimenti vivissimi.
Sergio
infatti sergio ha ragione..in realtà non esiste il "fascismo" ma i "fascismi"..il tutto poi con una ambiguità notevolissima! a parte il caso/genova, molto ben evidenziato da medea (una sintesi così è da ammirare!), esistono casi/città italiane altre da rivedere in sede critica! anzi solleverei un caso: le "scritte agiografiche", quelle sulle facciate dei nostri borghi, del periodo in questione andrebbero ben salvaguardate..fanno parte della nostra storia! e lo dico da antifascista radicale che, se avesse potuto, avrebbe partecipato alla RESISTENZA! in ogni caso gli architetti dell'epoca erano mostri di intelligenza e di bravura! oserei dire non solo gli archi. ma anche tanti artisti futuristi su cui andrebbe esteso l'interesse..ma questa è altra storia..cmq bravissima medea ad aver sintetizzato così! ma che penna brillante hai! il tuo amico
roberto matarazzo
mi associo. bella recensione. ma anche bella mostra. in uno spazio difficile. e poi aggratis (la mostra, ma....anche Exibart, e quindi plaudeamus!)