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Nella rêverie cosmica, nulla è inerte, né il mondo né il sognatore; tutto vive una vita segreta, dunque tutto parla sinceramente. Il poeta ascolta e ripete. La voce del poeta è una voce del mondo”, scrive Gaston Bachelard nel suo saggio
La Poetica della rêverie.
Silvia Noferi (Firenze, 1977) parte dalla suggestione di questo testo per realizzare la serie di scatti esposti nella sua prima personale genovese.
Anche l’artista, in questo caso il fotografo, come il poeta, rappresenta il mondo: il suo è “
un occhio del mondo”. E quello che vede, per come lo interpreta, diventa manifestazione del reale: una delle tante possibili forme, delle mille interpretazioni che ogni oggetto svela o nasconde. L’obiettivo della macchina fotografica, come l’inchiostro, diventa il filtro e il mezzo attraverso il quale la realtà giunge allo sguardo dell’artista che, seguendo la “poetica del fanciullino”, sa ancora stupirsi davanti alla realtà e lasciare che la sua mente, sospinta e sostenuta da essa, prenda il volo verso quelle “fantasticherie” di cui tratta il filosofo francese.
Così gli spazi di un albergo in ristrutturazione possono trasformarsi in un castello incantato, la cui decadenza denuncia un abbandono: forse a causa dell’incantesimo di una strega cattiva? Dove i personaggi, attori su quinte barocche, assumono le sembianze di creature da fiabe: sono forse fate o elfi? E dove anche le cose più comuni, estraniate dal loro solito contesto, assumono contorni inaspettati: il cavallo può davvero volare?
Il vecchio hotel fiorentino che fa da set fotografico alle immagini presentate, la scelta dei soggetti, i vestiti, i colori pastello, la luce irreale che entra dalla finestra giocando con le ombre che produce, la scelta delle inquadrature e degli oggetti, un palloncino, un vecchio caminetto di marmo, la tappezzeria barocca, gli strappi su di essa, i detriti, gli sguardi inespressivi, i gesti esasperati rendono teatralmente decadente la composizione delle immagini, suggerendo l’idea che quello che vediamo sia un frame tratto da una rappresentazione su un palcoscenico.
L’aggettivo “decadente”, a prescindere dal suo significato letterario, è il primo che viene alla mente, visitando la mostra.
Ma anche pensando al significato storico del Decadentismo sono molte le somiglianze che si possono cogliere: innanzitutto nell’estetismo che a volte appare esasperato, nella ricerca di controllo del minimo particolare, nel ricorso a sogno, immaginazione e fantasia, nella tensione tra il tangibile e l’astratto che si sviluppa in quella sottile, per alcuni aspetti piacevole malinconia che trasmettono gli scatti.