Tecnicamente, David Reimondo comincia i suoi lavori dalle riprese video: il corpo in movimento bloccato in immagini fisse, rielaborate in digitale e, in seguito, con interventi concreti di colori acrilici; poi ancora una volta congelate in colate gelide di resina irregolare, grumosa.
Un passo dopo l’altro, dall’astrazione fluida del movimento alla concretezza inflessibile della materia ferma, eterna, in un paradosso che offre maggiore concretezza all’immagine riflessa che alla vita effimera del movimento. In questa nuova serie di lavori Reimondo -che ha poco più di trent’anni ma espone dal ’91- ripropone le sue vite incapsulate come souvenir e sviluppa un nuovo ambito tematico.
“A cambiare è la domanda che pone: qual’è l’anima dei nostri giorni? Chi si sofferma di fronte ad una sua opera non è più invitato a interrogarsi sulla propria anima, ma su quella della nostra società” scrive Fabrizio Boggiano nel testo che correda la mostra “Si moltiplica così l’esplorazione dei materiali e delle loro simbologie, evidenziando il cocktail di materialità e immaterialità che contraddistingue la vita contemporanea”.
Ecco quindi l’attenzione concentrata sul corpo, ovvia essenza della fisicità e insieme punto di partenza di ogni percezione umana e astrazione: un corpo oggetto di zoomate spietate, sezionato da inquadrature che ne evidenziano la struttura più intima, fino all’estrema purezza del mero dato estetico. La grana della pelle e l’intrecciarsi casuale dei peli diventano una texture armoniosa, enfatizzata dal colore artificiale dell’oro e frazionata in riquadri composti. I meandri del cervello o il muscolo pulsante del cuore, ingranditi con la fredda precisione di un’autopsia, perdono la loro carica di simbolo perturbante per rivestirsi di colori vivaci, tranquillizzanti, e lasciarsi inscrivere in quiete piccole cornici razionali.
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