Mario Schifano (Homs, 1934 – Roma, 1998) è stato un artista completo, una celebrità, un genio, un uomo d’affari, un autodidatta, un comunicatore che ha saputo cogliere e sfruttare le suggestioni offerte dal mondo esterno per inserirsi trionfalmente nel mondo dell’arte internazionale. Dalla Libia, dov’era nato, a Roma e poi a New York, il percorso è stato lineare, inevitabile: così, a soli 28 anni, esponeva nella storica galleria di Sidney Danis nella mostra
The new realist show con artisti del calibro di
Rauschenberg,
Oldenburg e
Jasper Johns.
Schifano non si limiterà alla carriera di pittore ma la sua travolgente creatività lo porterà a sperimentare i più diversi linguaggi artistici, perfettamente in linea con la vocazione alla scoperta, guidata dalla curiosità che contraddistingue i grandi artisti. Nel ‘67 si dedicherà alla musica e, sull’onda della Factory di
Andy Warhol e dei “suoi” Velvet Underground, fonderà un gruppo musicale:
Le stelle di Schifano. Dalla musica al cinema: negli anni successivi realizzerà una trilogia, comprendente
Satellite (1968),
Umano non umano (1969) e
Trapianto, consunzione e morte di Franco Brocani (1969), che era già stata preceduta, a dimostrazione del sua passione per il video, da alcuni cortometraggi. E poi l’amore per il mezzo televisivo, testimoniato dalla produzione dei
Paesaggi TV degli anni ‘70: Schifano sarà regista di alcuni spot televisivi per Absolut Vodka e ideatore della sigla della trasmissione Rai di Enrico Ghezzi
La magnifica ossessione (1985).
Il curatore sceglie di proiettare alcuni esempi della produzione video di Schifano, per dare ai visitatori la possibilità di una lettura più vasta del lavoro dell’artista: nessuna pretesa di completezza, solo la proposta di qualche suggestione in più. Le trenta opere esposte, alcune di ottima qualità, sono datate tra gli anni ‘60 e ‘70, periodo d’oro della creatività dell’“artista” prima ancora che della “pop star”, oltre ad alcune successive, come la commovente
Finestra (in ricordo di Lo Savio) del 1980.
Vi sono pezzi storici come il
Futurismo Rivisitato datato 1960 e un
Monocromo verde del ‘62, uno dei primi della produzione che lo ha reso famoso, oltre a classici della sua produzione come i
Paesaggi Anemici dei primi anni Settanta.
Nell’analisi della produzione pittorica presentata da Angerame colpisce, ancora una volta, la molteplicità dei linguaggi e delle tecniche: utilizzate, sfruttate, mischiate, sperimentate sapientemente. In mostra sono esposte tele e carte di formati diversi, dalle piccole alle grandi dimensioni, dipinte a olio, tempera, acrilico e smalti o realizzate con il collage, oltre all’uso di fotografia e pittura su legno e un tecnica mista su perspex.