Sarà per la sua particolare etica e poetica professionale, ma spesso può sembrare che su
Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987) si sia già detto e scritto tutto. C’è persino chi ha sostenuto che abbia raccontato e addirittura incarnato in immagini l’intera seconda metà del Novecento, ed effettivamente pare che le sorridenti
Marilyn, i compiacenti
Mao o l’allettante latta della
Campbell’s Soup siano ormai diventati più celebri dei soggetti che raffigurano.
Quando un artista viene identificato con le sue più arcinote icone può succedere però che se ne perda il contesto, non meno brulicante di genialità e ripercussioni sul piano artistico e -soprattutto quando si parla di Pop Art – sociale. È ancor più apprezzabile, allora, se una realtà così defilata, una periferia culturale come quella del Comune di Loano si fa carico di allestire un’esposizione di approfondimento, che sa guardare agli aspetti meno noti della carriera del polacco-americano.
Perché le sale del cinquecentesco Palazzo Doria, sede del municipio, accolgono al loro interno sia le succitate “opere maggiori” – senza dimenticare le non meno note serie
Flowers (1970) o
Electric Chair (1971) – sia una rassegna di materiale documentario che ricostruisce la carriera di grafico e regista di Warhol, a latere della sfavillante e infinita produzione serigrafica.
Una prima sezione è dedicata ai prodromi della produzione in serie. Risalenti alla metà degli anni ’50, i disegni a “
blotted line” – tecnica che consiste nel disegnare a inchiostro su un foglio non assorbente, per poi ricavarne calchi dalle linee incerte e debordanti – sono lavori che costituivano libri come
In The Botton of My Garden (1955), con puttini e decorazioni floreali, o lo scanzonato ricettario
Wild Raspberries (1959), indicazioni culinarie di fantasia corredate da illustrazioni di colorate portate.
In mostra, l’immancabile cover con la banana “sbucciabile” del disco dei Velvet Undergound del 1967, che inaugura le frequenti incursioni di Warhol nell’ambiente rock e pop: a ulteriore testimonianza, il portfolio che immortala
Mick Jagger (1975) e la celebre copertina di
Sticky Fingers (1971) dei Rolling Stones, con il tocco cult della cerniera dei jeans apribile, ma anche quelle nate dalla collaborazione con star come Johnny Griffin, Diana Ross, Miguel Bosé, Aretha Franklyn.
Il rapporto con grandi personaggi del mondo dello spettacolo costituisce una costante nel lavoro di Warhol e viene raccontato, fra l’altro, con la presenza delle prime pagine dedicate a vip dalla rivista “Interview”, fondata nel ’69 dall’artista stesso.
Posti uno di fianco all’altro, alcuni dei lavori rivelatori di un’intesa proficua anche con l’Italia: la copertina del catalogo della personale del ’75 a Ferrara, realizzata per l’editore Mazzotta, e il ciclo sui travestiti neri
Ladies and Gentlemen, presentato in esclusiva alla medesima esposizione.