La poesia come linguaggio che trasmette emozioni, come veicolo universale capace di aggiornarsi alle aspirazioni e alle necessità spirituali di epoche diverse. Dialogo continuo fra parola e immagine, serrata intesa fra testo e supporto pittorico hanno fatto sì che il progetto di esporre autografi di Giacomo Leopardi – provenienti dalla Biblioteca Nazionale Napoli e dalla Biblioteca Universitaria di Genova – accanto a opere dei maestri del novecento italiano, fosse più di un semplice esperimento.
Negli itinerari espositivi di questa mostra, i manoscritti originali de L’infinito, La quiete dopo la tempesta, il Canto notturno di un pastore vagante dell’Asia possono infatti essere ammirati accanto alle testimonianze di artisti dalla sensibilità moderna che, suggestionati dai quei versi, hanno filtrato secondo la propria cifra le emozioni suscitate dagli scritti del poeta.
Sondando le contraddizioni e le problematiche del rapporto fra uomo e natura nonché l’ascesa tutta romantica verso un sublime e una perfettibilità non più raggiungibili nell’età odierna, Vaghe stelle dell’Orsa… gli infiniti di Giacomo Leopardi, a cura di Giuseppe Marcenaro e Piero Boragina cerca così di confrontare Leopardi al di fuori della consueta accezione letteraria per dimostrare quanto profondo ed esteso debba essere ritenuto il cono d’ombra delle sue formulazioni letterarie nel campo delle arti visive .
Il poeta si delinea quindi come punto di riferimento costante per gli artisti contemporanei perché uomo lucido, nel compiere una profonda riflessione linguistica sui codici estetici, e in quanto intellettuale che ha avuto la capacità di vivere la letteratura quale strumento di esperienza conoscitiva ed etica.
In questo senso Leopardi, rappresenta più che una fonte di ispirazione; incarna infatti la stessa speculazione metalinguistica della contemporaneità e nondimeno la condizione esistenziale di alcuni fra i più noti pittori italiani. Nella sezione dedicata ai riferimenti riscontrati nella storia dell’arte, si passa dalle rispondenze sporadiche di Boldini e de Chirico alla più stretta familiarità con le poetiche leopardiane di Carlo Carrà, Giorgio Morandi, Filippo De Pisis, Osvaldo Licini, Alberto Savinio, Carlo Mattioli.
In questo senso degne di particolare ammirazione per il loro dialogo stringente, risultano capolavori assoluti come Notturno, un olio su carta intelata del 1956 di Licini e due tele del 1942 e del 1943 dal titolo Paesaggio, ora conservate al Museo Morandi di Bologna.
Di diversa intensità gli accostamenti con Morlotti, Burri, Fontana, Music, Melotti, Scanavino che sembrano essere generati più da affinità elettive che da effettivi moti d’ispirazione.
andrea bruciati
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