Che la bellezza femminile sia, oltre che un’eterna questione, uno scottante argomento della nostra attualità lo rilevano le morti per anoressia, le leggi di Zapatero, il successo del botulino, il sempre crescente numero di fashion-victim, le (povere) diavole che vestono Prada e la “velinizzazione” di buona parte della gioventù odierna. Trasformata la vita in una sfilata senza fine (anche tra le mura domestiche?) e adattati i comportamenti agli stilemi di spot pubblicitari, la bellezza, di cui la donna è emblema duraturo, rischia di confondersi con la “fascinazione della merce”. Concentrandosi su questo punto, Alessio Delfino (Savona, 1976) espone in una prima retrospettiva il suo modo d’intendere il bello attraverso un approccio classico alla fotografia di nudo in bianco e nero, dal quale si smarca nell’ultima serie, esposta in anteprima e work in progress, ispirata all’iconicità della muliebre bellezza inventata da Gustav Klimt. In essa, come già nelle serie precedenti, il fotografo savonese gioca a mescolare le carte, fotografando modelle professioniste e non professioniste senza dichiarare in alcun modo le differenze, lasciando lo spettatore solo a giudicare se il bello che apprezza, o meno, appartenga alle misure standard della moda o della fotografia pubblicitaria di intimo, oppure se esiste qualcosa d’altro oltre all’armonia codificata da un sistema che non condivide molto con la statuaria greca. Per Delfino questo qualcosa è il “carattere”, vecchia categoria romantica banalizzata e neutralizzata dal nostro linguaggio quotidiano in un’epoca che crede poco all’interiorità. Il carattere è la nostra forma interiore, il nostro peculiare modo d’essere, una sorta di marchio o di stampo personale di quell’infinito al quali
Una mostra fotografica che non è solo fotografica perché una performance rende omaggio allo Stanley Kubrick di Eyes Wide Shut. Sulle cadenze misticheggianti dei canti usati dal geniale regista e fotografo, Delfino opera una citazione del rituale della scena madre del film. Un modo per confessare un personale “culto” per un corpo, quello femminile, che può farsi dialogo con la bellezza, strumento di piacere visivo ma anche critica velata al sistema della bellezza costruito dai nostri mass media.
angelo americi
mostra visitata il 10 marzo 2007
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