Tempi difficili, quelli in cui ci troviamo a vivere. E se è “grande la confusione sotto il cielo”, allora davvero “la situazione è eccellente”. Perlomeno in ambito artistico. Pure, in questo salone della giovane creatività europea non si respira disordine, nessuna tensione, non ci sono scontri, se non quelli più intimi di personalità inquiete appena sbocciate.
Sei aree, una per ogni nazione partecipante, rese autonome da una selezione degli artisti operata da loro connazionali, (per l’Italia i commissari artistici sono Sandra Solimano, direttore del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, ed Emilia Marasco, direttore dell’Accademia Ligustica di Belle Arti), destinate ad aumentare di anno in anno, con lo sguardo rivolto in modo particolare ai Paesi che da poco sono diventati parte dell’Unione Europea.
Varcando (fuor di metafora: le si attraversa fisicamente) le installazioni di Stefano Buro, (Verona, 1979), vincitore dell’European Grand Prize for Young Creators 2005, si entra nella prima area, quella italiana. È la parte più intimista del Salon, concentrata su metafisiche sognatrici, come quella del carretto di Alex Bellan (Adria, 1982), in cui si può trasportare la volta stellata, ma soprattutto dedita al tema della memoria. Quella degli objets pour le travail de la vie de l’amour de l’amitié, che compongono l’installazione di Claudia Collina (Castelfranco Emilia, 1974) e quella perduta, nelle quindici fotografie di fortissimo impatto di Simone Martinetto (Torino, 1980) che documentano la vita della nonna malata di Alzheimer.
Poi è la volta della Francia, colorata e un po’ banale tra le rovine di plastica di Gregoire Faugeras (1978), le scarpe da ginnastica serializzate di Timothee Mahuzier (1976), e i teschi dipinti con paillettes da Rebecca Bournigault(1970). Per la Spagna, tutta corpi e sensualità, spicca una sezione video degna di nota: in particolare, la benna che gioca a palla di Mònica Febrer e la scatola di cartone in cui si compie una metamorfosi –con tanto di bozzolo fatto a maglia– di Marta Fontana Forcadell.
E poi ancora Portogallo, Lituania, Austria, con l’attenzione per un attimo sollecitata dall’opera vincitrice di questa edizione: Wobbel, di David Moises (Innsbruck, 1973). Sono grossi cuscini di gomma riempiti d’aria e collegati fra loro che potrebbero rivelarsi divertenti, se sperimentati da vicino, ma l’atmosfera è troppo rarefatta e i visitatori restano a prudente distanza.
Niente di disdicevole. Niente di rilevante. Il sentimento politico e sociale, che pure potrebbe essere un tema violentemente sentito, se ogni tanto appare qua e là, è stato ripulito, reso digeribile agli stomaci più sensibili. In parte, questo è il rischio che si corre volendo a tutti i costi dedicarsi ai giovani, cui troppo spesso l’unico talento consentito è quello anagrafico. Allo stesso tempo, questa è una visione di un’Europa decisamente tranquillizzante. Forse quella di cui si sente il bisogno in questo momento, ma che ha ben poco a che vedere con le realtà. L’arte contemporanea può –e dovrebbe– fare di più. Speriamo che le nuove nazioni che si uniranno al progetto, forse meno addomesticate, portino una ventata di contenuti determinanti –e non per questo necessariamente “nuovi” o “giovani”- per tutti. Artisti, curatori e visitatori.
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www.jeunecreation.eu
annalisa rosso
mostra visitata il 20 febbraio 2007
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