Un territorio d’indagine ancora piuttosto magmatico è quello che si propone di delineare il Museo di Villa Croce con la mostra
Pensare Pittura. Il titolo racchiude in sé il significato dell’analisi: nella poderosa macchina speculativa e ben poco “concreta” che il mondo dell’arte ha costruito fra gli anni ’60 e ’70 attraverso la corrente del concettuale, passò piuttosto in sordina quel fenomeno prettamente pittorico che si sviluppò da un “
processo riflessivo sul linguaggio” del dipingere e da un “
ragionamento sul ‘fare’” il manufatto-quadro, che viene comunemente identificato come Pittura-Pittura, Geplante Malerei, Pittura Analitica.
Il museo genovese non smentisce la propria vocazione alla mostra d’approfondimento e, con la volontà di riproporre alla memoria e al dibattito critico la vicenda artistica della Pittura Analitica, progetta un percorso espositivo da manuale di storia dell’arte. Che, partendo dai naturali prodromi, fra cui
Josef Albers e
Lucio Fontana, tenta di categorizzare il fenomeno, declinandolo nei vari gruppi nazionali.
Perché se il tallone d’Achille che non permise alla corrente di entrare stabilmente nelle argomentazioni teoriche della critica
fu soprattutto quello di essersi trovato a metà strada fra la problematicità del concettuale e l’esuberanza anni ’80 della nuova figuratività, non giocò a suo favore nemmeno l’esser stato liquidato troppe volte come astrattismo posticcio, informale attardato o minimal art inconclusa, non avendo formato unioni consolidate d’intervento che stilassero programmi teorici specifici.
Viene quindi usato il criterio della nazionalità per creare piccoli addensamenti d’intenti pratici e concettuali, pur molto vivaci e personali nella loro singolarità. Ed è così che dopo la sezione dei “Precursori” si aprono gli spazi dei “Protagonisti Italiani”, che accompagnano lo spettatore al piano superiore, dedicato agli “Orizzonti Internazionali”, dove si sceglie di esporre le opere in comparti differenziati in base al Paese di provenienza.
La problematicità di ogni dipinto si fa sentire, anche perché la Pittura Analitica reclama un “
fruitore che sappia esercitare una progressiva attenzione ai processi costitutivi dell’opera”. Le parole specifiche di ogni autore, a proposito della processualità del proprio fare, sono quelle che davvero permettono di cogliere quella sottile ma essenziale differenza che distingue
Carlo Battaglia e il suo
Glauce (1975) da un minimale, o
Marco Gastini con
Plexiglas (1969) da un informale: è la concettualizzazione che sta alla base dell’opera che ne sancisce l’originalità e la peculiarità, ed è per questo che in molti casi l’autore diveniva critico e teorico di sé stesso.
Il panorama estero non è meno costellato da singoli pensatori che conducevano ricerche particolarmente libere, nonostante alcuni casi di più formali intenti comuni. Un esempio fra tutti, gli artisti del gruppo parigino B.M.P.T. fondato nel 1966 o il successivo Support/Surface, ampiamente rappresentati in mostra.