La storia comincia con un uomo qualsiasi che una mattina si sveglia e scopre di aver assunto le le sembianze di uno scarafaggio. Ciò che lo sprofonderà nella disperazione, al punto di lasciarsi morire, non sarà la
Metamorfosi ma il rifiuto subìto dalla società. È una metamorfosi anche quella che racconta
Karin Andersen (Burghausen, 1966). Su corpi maschili e femminili appaiono code, orecchie, artigli. Una capra ha piedi da donna con tanto di scarpe col tacco e smalto alle unghie. Sono uomini bestiali o animali antropomorfi? Provengono da un’altra dimensione o sono il risultato di qualche strano esperimento?
Appare chiaro nella scelta iconografica un forte debito nei confronti del
Loughton Candidate, il satiro-pecora interpretato da
Matthew Barney in
Cremaster 4. Andersen s’inserisce a tutti gli effetti nel panorama post-human. Aderendo a tale filosofia, sceglie di rappresentare l’uomo come oggetto di sperimentazioni biotecnologiche e genetiche, come un ibrido sottoposto a una procedura di modificazione del proprio corpo, che rende incerto il confine tra ciò che è definibile come “umano” e ciò che non lo è.
Jeffrey Deitch propone di interpretare l’era postumana come il momento di ricostruzione dell’io, disintegrato dal postmodernismo. Così i protagonisti delle opere in mostra appaiono come bambini che, all’alba della loro esistenza, cercano di imparare qualcosa del mondo; o, come turisti appena arrivati, magari in treno (elemento ricorrente in questi lavori), in un paese straniero. Tra le mani hanno cartine geografiche, riviste, libri o giocattoli; peluche, trottole e Lego usati per rivelare il loro desiderio di scoperta. Gli occhi esplorano, fissano l’obbiettivo, indagano, chiedono, scoprono. Si trovano in mezzo a persone comuni, forse prossime vittime dello stesso processo di ibridazione, con le quali non esiste per il momento alcuna possibilità di interagire: a dividerli ci sono muri, porte chiuse, la consapevolezza della nuova era che si sta affermando.
Un’ulteriore trasformazione è già cominciata: gli ambienti che circondano i personaggi rappresentati stanno diventando virtuali, lo vediamo nel primo piano di molte opere. In questo panorama qualcosa di artificiale sta per invadere la realtà come ci appare. L’artista lo rende visibile attraverso oggetti animati e misteriosi, dai colori fluorescenti e dalla matericità plastica, che si nascondo tra quelli a noi noti: dischi, tazze, carte, giochi in scatola, lampade, un violino, bambole, e molti altri ancora. Simboli di una realtà sul punto di trasformarsi.