14 gennaio 2019

Su Rabbit Island con Alice Pedroletti

 

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Su un’isola disabitata e incontaminata, circondata dal freddo Lago Superiore (Michigan, USA) l’arte si mescola con l’esplorazione. Per scoprire Rabbit Island e il loro programma di residenze per artisti (open call 2019 in corso fino al 15 febbraio) abbiamo intervistato Alice Pedroletti (vincitrice del programma 2018) per farci raccontare la sua esperienza che l’ha portata fino alla Royal Geographical Society. Protagonisti, il tempo e la sospensione.  
Come nasce il progetto per Rabbit Island?
«Rabbit Island è una residenza dedicata alle tematiche ambientali, di conservazione, di sostenibilità. Riflette sulla storia dell’insediamento e divisione del continente americano, affronta il problema dei cambiamenti climatici, della perdita di habitat naturale, del valore dei bacini idrografici incontaminati e delle implicazioni ambientali dell’imprenditorialità. Sostiene la possibilità che gli artisti possano suggerire soluzioni vivendo e studiando un luogo incontaminato, con l’invito ad entrare in punta di piedi e a non lasciare tracce indelebili.
In questo contesto la mia idea iniziale è stata influenzata dall’ambiente e dal mio modo di dialogarci. Il progetto a cui sto lavorando con loro è nuovo e si lega ad altre due residenze: quella dell’Accademia di Brera sull’Isola Comacina e quella di Cars Omegna sul Lago D’Orta».
Acqua, dunque, come filo conduttore…
«Sì, ma non solo. Architettura, memoria. L’isola per me rappresenta un corpo galleggiante, un territorio sospeso al limite tra due mondi, un sopra e un sotto che per me sono vivibili allo stesso modo. L’idea di possibilità e di tempo; il frammento visibile di qualcosa di non completamente tangibile ed effabile, di un archivio in (de)costruzione da conservare ed esplorare. Rabbit Island è un’isola resiliente; da sempre disabitata, si anima solo durante i mesi estivi per le residenze. Mi sono immersa in questa sua atmosfera, perdendomi in lunghe passeggiate alla ricerca pietre che ricomposte e unite l’una con le altre, fossero in grado di generare un’architettura e una storia nuove: a metà tra la mia storia, il mio passaggio sull’isola e la storia stessa dell’isola. Il filo della mia ricerca spesso è proprio in questo equilibrio tra la compulsione all’accumulo e la ricomposizione di un tutto; tra frammento e narrazione compiuta rivolta al futuro».
Un’operazione di land art?
«C’è molto, in effetti, della ricerca della fine degli anni ‘60; dall’importanza della documentazione del processo al tema della memoria, dalla temporalità a una nuova archeologia tra uomo e natura. Le pietre che ho raccolto per esempio sono state catalogate, misurate, fotografate e sono conservate sull’Isola. Questa azione è una sottrazione che, come nel gesto fotografico, tenta di essere immortale e di proteggere: genera una narrazione circolare che modifica il paesaggio, ma mai definitivamente perché le pietre sono ancora lì. Dopo un po’ l’osservazione stessa diventa opera d’arte e raccontare la contemplazione risulta l’esercizio più difficile. La sintonia e l’idea di perfezione, riferite all’ambiente circostante, sono a tratti più importante della creazione dell’opera stessa».
Il tema ambientale è tra i più incombenti e non trascurabili. Innovativo è anche l’approccio “esplorativo” che riposiziona l’arte al fianco della ricerca tout court, scientifica e geografica in particolare. 
«Andrew Ranville, uno dei due fondatori della residenza, è artista e geografo ed è membro, insieme all’artista Luce Choules, della Royal Geographical Society. Si occupa della sezione Artists in the fields, che ogni anno propone il lavoro di artisti “esploratori”. Mi hanno invitata ad Explore seminario annuale dedicato alle esplorazioni dei territori considerati difficili o estremi; l’attenzione è rivolta a una riflessione più profonda sull’impatto e le motivazioni delle esplorazioni contemporanee. La necessità, ormai impellente, è quella di avere artisti ed educatori che affianchino i ricercatori per dare un punto di vista diverso, fondamentale per la comprensione dei problemi che oggi ci troviamo ad affrontare…». (Roberta Ranalli)
La seconda parte dell’intervista con Alice Pedroletti uscirà a breve su That’s Contemporary. 
Per informazioni sulla call per artisti e sul programma di Rabbit Island: Open call Rabbit Island e Archivio della Fondazione.

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