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Era nato a Vo’, in provincia di Padova, il 10 gennaio 1935, ma da sempre la sua vita e carriera è stata legata a Bologna. Vi aveva studiato, continuando poi a Parigi, specializzandosi in grafica pubbllicitaria e cartellonistica, per poi arrivare alla pittura, e alle cattedre. Parliamo di Concetto Pozzati, scomparso poche ore fa nella sua casa del capoluogo emiliano, a 81 anni.
Pittore per eccellenza, osteggiato da una certa critica, difficilmente ascrivibile a qualsivoglia movimento degli anni ’60 e ’70, Pozzati fece oltre che di tela e pennello anche dell’insegnamento un tratto distintivo della sua vita: fu direttore dell’Accademia di Belle Arti di Urbino e poi insegnò nelle Accademie di Venezia e Firenze, città nella quale cedette la cattedra all’amico Emilio Vedova, per diventare ordinario in Pittura proprio a Bologna, dove si era trasferito appena adolescente, nel 1949.
Vicino ai temi della Pop Art, l’arte di Pozzati è stata definita “metallica e fredda, semplice nelle soluzioni ma, allo stesso modo, magica e fantastica”. Accademico di San Luca, dal 1993 al 1996 fu anche assessore alla cultura di Bologna, e nel 1998 fu direttore artistico della Casa del Mantegna a Mantova. A Kassel fu invitato nel 1964, stesso anno in cui fu anche alla Biennale di Venezia, dove tornò anche nel 1972 e 1982.
La sua più importante mostra antologica fu forse nel 1976, a Palazzo delle Esposizioni di Roma, e nello stesso anno inaugurò anche il Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara. Storie d’altri tempi, forse, e di vecchi miti che hanno plasmato (c’è chi dirà bene, e chi male, ma fa parte del gioco) intere generazioni di artisti e aspiranti tali.
Il saluto, in una rovente Emilia estiva, domani all’Archiginnasio. (MB)