Il mondo, perché stavolta non si tratta solo dell’Italia, ha perso un altro faro. Forse non era così celebre come il compianto David Bowie, non era una rockstar, ma per quanto ci riguarda è stato altrettanto rivoluzionario. Perché ha raccontato il nostro Paese come solo la “Settima Arte” più grande sa fare: in maniera serissima, ma lieve. E spesso tragica.
Si parla chiaramente di Ettore Scola, nato nel 1931 e scomparso ieri sera a Roma.
Una giornata particolare, 1977, è stato forse il suo lungometraggio più conosciuto all’estero: gli era valso un Golden Globe come miglior film straniero, e due nomination all’Oscar. Protagonisti Sophia Loren, succube di un marito fascista e della prole, che conosce Gabriele, alias Marcello Mastroianni, nella parte di un radiocronista disoccupato e omosessuale. La giornata particolare è quella del 6 maggio 1938, quando Hitler arrivò a Roma e la città corse ai suoi piedi. I due, soli nel palazzo, si confronteranno sulla vita, le speranze, le delusioni, le amarezze, seducendosi a vicenda, anche ridendo, finché il destino “militare” non li separerà al tramonto.
Era in qualche modo un film di riscatto dalla tragedia, mettendovi le mani in pasta, Una giornata particolare, come lo sono stati anche Un americano a Roma (1954), La grande Guerra (1959), Crimen (1960), C’eravamo tanto amati (1974).
«Il cinema è un lavoro duro ma si può, ridendo e scherzando, mandare qualche messaggetto, qualche cartolina postale con le proprie osservazione sul mondo. Il cinema è come un faretto che illumina le cose della vita», aveva dichiarato lo scorso ottobre alla Festa del Cinema di Roma.
Era un buono con in mano la mannaia affilata della capacità di generare immagini uniche, Ettore Scola; acquarelli tragici e comici di un’Italia che non c’è più ma che, nel Dopoguerra, cercava di svegliarsi dall’incubo e che, a metà degli anni ’70, gridava malcontento e paura.
Lo aveva raccontato egregiamente anche ne I nuovi mostri, insieme ad altri due immensi registi: Mario Monicelli e Dino Risi, per aiutare lo sceneggiatore Ugo Guerra. Anche questo un affresco, in quindici episodi, di vizi e peccati venali e capitali, degli italiani.
Ora, dopo gli onori postumi, i ricordi e, siamo sicuri, le maratone televisive, una domanda sorge spontanea: chi prenderà il testimone di questo ultimo “antico Maestro”, poetico e dolcemente arrabbiato? Per ora non resta che l’ultimo applauso, sperando che le luci della memoria, in sala, non si spengano troppo presto. (MB)