07 settembre 2015

Applausi. Per ora

 
La loro battaglia – gli esuli siriani e non solo - l'hanno vinta, almeno per cominciare. Ora viene il bello, perché inizierà la nostra. Quella che dimostrerà se li abbiamo applauditi perché il “savoir faire” contemporaneo lo impone, o se davvero crediamo in un futuro possibile, per loro, che dobbiamo creare. Noi.

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Si fa presto ad applaudire. D’altronde anche Gesù era stato accolto da una grande folla osannante. Si fa presto a dire “ospitiamo” – tutti, tranne la Gran Bretagna, potenza delle potenze che non ha nessuna intenzione di piegarsi all’Europa caprina e ha dichiarato che, da loro, ne entreranno solo 15mila. E anzi, altra notizia, i sudditi della Regina sarebbero pronti a uscire dalla Comunità Europea, specialmente se la questione migranti dovesse peggiorare.  
Ci sentiamo buoni, ci sentiamo superiori per le nostre “capacità” di accoglienza, perché siamo il “nuovo mondo” mentre il mondo sta implodendo. 
Iniziamo il nostro sermone quotidiano: sembra che – guardando la televisione, ascoltando cronache, vagando tra i pensieri “dal basso” dei social media – ci sia dimenticati di una cosa: siamo di fronte ad un nuovo esodo, e alla necessità di “ricollocare” vite umane. Che come tutti gli umani avranno bisogno di servizi, che avranno doveri, poi, ma anche una serie di diritti, prima. Quello di mangiare in primis, di avere un tetto, una dignità.
Gli applausi e le fotografie (che nemmeno Johnny Depp al Festival del Cinema di Venezia – a proposito, vi siete accorti che è appesantito? Terribile: un grande mito, a cinquanta e rotti anni, non può permettersi nemmeno di prendere qualche chilo) non solo non sono simpatiche e non dimostrano nemmeno pathos, sono tragiche e impietose istantanee di come si guarda l’altro. 
Sono lo specchio di come questi migranti, tra poche settimane, non solo saranno dimenticati (o forse la Germania, nuovo porto franco, ci farà ricredere?) ma andranno anche a rimpolpare i ghetti già così presenti nelle periferie delle grandi Capitali europee. 
Forse la nostra visione è troppo pessimistica, ma dietro i “Willkommen” di ogni nazione sembra sia svanito (o accantonato?) il pensiero che questi “stranieri” dovranno integrarsi, far proprie le leggi e anche un po’ le usanze di un altro Paese visto che, appunto, hanno dovuto rinunciare a tutto il loro passato. Ma come ben sappiamo, per gli espatriati, il senso di comunità è fortissimo.
E a voi sembra facile che si possa sorridere quando ancora nelle periferie di Parigi non si è riusciti ad integrare figli di immigrati di seconda generazione? A voi sembra facile trovare a ognuno di questi esseri umani un lavoro degno di essere chiamato tale? Non è questione di destra o sinistra, è semplicemente realista. Ben venga l’accoglienza, ben venga una nuova predisposizione d’animo più gentile, ma che si tengano a mente – perfettamente – i doveri dell’ospitante. Che inizia quando vi è integrazione. Perché tutti siamo bravi a dare un letto temporaneo e poi, ops, mi serve la tua camera, con la vecchia storia dell’ospite che dopo tre giorni puzza. 
Di questi tempi, visto come sono veloci i cambiamenti di pensiero, anche politico, potrebbe essere proprio questo il timing necessario per cambiare sguardo su questo strano trionfalismo, talmente “social” da essere finto. (MB)

1 commento

  1. Finalmente qualcuno veramente realista! In questo momento di grande ipocrisia e di falso moralismo una voce fuori dal coro.
    La speranza sarà che questa gente provenienti da luoghi lontani dalle nostre tradizioni, religioni, etc. siano accolti in maniera degna e non solo a parole, che loro stessi finalmente si riescano ad integrare e a capire i paesi ospitanti ed i loro cittadini. Con il rischio, se non avverrà questo, che si possano creare tensioni e nuove forme di razzismo e passare noi stessi a periodi bui già vissuti, come la storia ci ricorda.

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