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04
febbraio 2016
L’accusa era stata quella di aver ripudiato l’Islam, e se poi si associa questo fatto ad una vecchia “condanna” per aver fotografo una serie di donne con il suo smartphone, in Arabia Saudita si era fatto presto a condannare a morte Ashraf Fayadh, artista e poeta palestinese e curatore alla Biennale 2013 dei progetti legati a Edge of Arabia, famosissimo ente che ha co-fondato con Stephen Stapleton.
Ora un tribunale saudita ha annullato la condanna a morte, ma la riduzione della pena è comunque un pugno allo stomaco in fatto di civiltà: 8 anni di reclusione e 800 frustate da effettuarsi in 16 volte, due all’anno. In più la corte ha anche ordinato a Fayadh di pentirsi pubblicamente sui media di stato sauditi.
Ora bisognerà vedere come si mobiliterà la comunità internazionale, e anche quella dell’arte, nei confronti dell’uomo. Amnesty International, per ora, ha parlato dell’uomo come di un “Prigioniero di coscienza”, e gli organizzatori del Festival Internazionale di Letteratura di Berlino ha chiesto alle Nazioni Unite di sospendere l’adesione dell’Arabia Saudita dal Consiglio dei diritti umani “fino a quando le condizioni sulla difesa civile della libertà non saranno migliorate”. Anche se non ci sarà di mezzo la morte, qualcosa si sta uccidendo lo stesso. (MB)