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30
novembre 2015
Bisogna parlare d’arte contemporanea. Italiana
Il fatto
Abbiamo spesso lamentato la disattenzione dei media generalisti verso il nostro campo. Stavolta a metterci una pezza è stata La Stampa, con un'intervista al Presidente della Quadriennale Bernabè. Il risultato? Bisogna pensare al contemporaneo. In Italia
di redazione
Che ci sia bisogno di scrivere il futuro dell’Italia guardando non solo al suo lato museale, e dunque del passato, lo diciamo da tempo.
Eppure, molto spesso, come abbiamo rimarcato anche durante lo scorso primo Forum dell’Arte Contemporanea a Prato, indetto dal Centro Pecci, la disattenzione ai temi della cultura di oggi, specialmente visiva (va meglio per la letteratura, e soprattutto per il cinema) sembra essere endemica. Come se il Belpaese non riuscisse a riscattarsi dal suo status di “parco archeologico”, o tutt’al più di sito di “modernariato”.
Ci prova, in ultima istanza, il Presidente della Quadriennale Franco Bernabè, che tramite una serie di risposte rilasciate ad Alain Elkann su La Stampa rimarca la necessità di rimettersi in gioco su questo piano. Di creare un sistema, un settore, e le condizioni favorevoli: «La grande arte è sempre stata contemporanea, ma c’è disattenzione per la contemporaneità. L’Italia ha bisogno dell’arte contemporanea come continuità del nostro patrimonio storico», ha dichiarato Bernabè, senza tanti j’accuse ma elencando i problemi che conosciamo: fuga all’estero dei giovani che vogliono lavorare in un determinato settore, mancanza di centri dedicati, ma nemmeno una parola sulle condizioni dei lavoratori italiani del sistema (a tal proposito vi rimandiamo al nostro focus su Exibart onpaper 91, “Cosa resta del mercato”).
Certo, in fin dei conti si tratta di raccontare la nuova Quadriennale, e va bene così, specialmente perché ci si affaccia proprio a quel pubblico “generico” che, se non guidato, del contemporaneo continuerà a sapere ben poco.
«Quello che cerchiamo di fare con la Quadriennale è promuovere, far conoscere, dare visibilità agli artisti italiani contemporanei». Giusto, anche perché poi ci troviamo nelle classifiche di mezzo mondo con solo un paio di nomi che, molto spesso, non vivono nemmeno nel nostro Paese.
E allora, come contribuire ad una svolta. Per esempio, appunto, cercando di parlarne ad un uditorio sempre più vasto. Sperando non tanto che sia la famosa volta buona, ma che si creino le condizioni per un cambiamento di rotta. (MB)