09 marzo 2015

Chi ha paura dell’arte contemporanea?

 
Che la Russia non sia la patria delle libertà lo sappiamo da tempo, ma oggi c'è chi appella l'arte e la cultura contemporanea come "progetti pericolosi". Perché portano alla rivolta. Per fortuna!

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E meno male che c’è Okwui Enwezor e la sua idea di arte politica, verrebbe da dire. E meno male che la Biennale di Venezia, per ora, resta in questa Italia che – nonostante tutto – non è ancora al tragico stadio russo in fatto di libertà, almeno in apparenza.
Che non sia servito a nulla portare Manifesta, la biennale itinerante, nella gabbia dorata dell’Ermitage di San Pietroburgo, né tanto meno pensare che potesse essere d’aiuto per una situazione che fuori dalle quattro mura del museo di San Pietroburgo (e di tutti gli altri più mainstream), è presto detto, anche se accettarlo non è così facile. Perché rimane sempre quell’idea romantica e tragica che ci fa dire che l’arte (e la cultura in genere) qualcosa, nella costruzione del mondo, dovrebbe cambiare. Ma da queste parti no, non ancora. 
Perché i fondatori del Perm-36 Museum, unica istituzione della Russia in un ex gulag e candidato a diventare patrimonio mondiale dell’Unesco, hanno annunciato che il museo sta chiudendo, dopo un anno di battaglia tra il sito e le autorità regionali che hanno tagliato non tanto i fondi, ma sono andati più alla base, chiudendo luce e acqua! 
Il motivo della diatriba? I lavoratori di Perm-36 sono stati accusati di raccogliere fondi esteri e schierarsi dalla parte dei nazionalisti ucraini che erano stati imprigionati nel campo. Hai capito? E allora via, estirpare! Così pare che si estirperanno anche i progetti, non ancora partoriti, di creare tre centri per il contemporaneo, finanziati dallo stato con un totale di 32 milioni di dollari, in tre regioni del Paese non “coperte” come Mosca o San Pietroburgo: Pervouralsk, Kaluga e Vladivistok. L’allarme è stato lanciato da Ekaterina Girshina, esperta di riqualificazione urbana consultata per il centro di Kaluga, che ha rivelato che mentre il Ministero ha affermato che i lavori vanno avanti in realtà tutto è fermo al palo, perché da Mosca non c’è un rublo in serbo. Uno specchietto per le allodole insomma, ma questione ancora più grave (e oscurantista) è che buona parte dei tradizionalisti russi, come l’attore Nikolai Burlyaev – che ha anche recitato anche in pellicole di  Andrej Tarkovskij – hanno dichiarato che i centri per l’arte contemporanea altro non sono che un progetto pericoloso che potrebbe portare a una rivoluzione simile a quella dello scorso anno in Ucraina. Burlyaev ha anche aggiunto che non bisognerebbe promuovere altro che “i valori spirituali-morali tradizionali”. Speriamo (invano?) vivamente di no. (MB) 

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