10 marzo 2015

Chiudere il dialogo

 
Da un lato c'è la lezione di giornalismo, ma soprattutto di etica, di Rima Karaki. Dall'altro la direttrice Unesco Irina Bokova, che incita ad agire contro le violenze dello stato islamico sul patrimonio. Cos'hanno in comune? Proviamo a ragionarci sopra

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Le protagoniste di oggi sono due donne, che non dovrebbe fare notizia, e invece di questi tempi bisogna tenerne conto. Gli ambiti sono diversi, ma si incrociano. Perché se Rima Karaki, la giornalista palestinese che è diventata un caso per aver stoppato la violenza verbale dell’islamista radicale Al Seba’i durante una delle trasmissioni televisive più seguite della tv araba, ha dimostrato che è possibile – senza violenza fisica ma con il coraggio delle proprie azioni – mettere a tacere chi non rispetta il prossimo (prima ancora delle sue idee), Irina Bokova, direttrice dell’Unesco, lancia un altro messaggio forte: i beni storici e archeologici vanno tutelati dall’Is come gli esseri umani. Si tratta di princìpi universali. Punto. 
E non ci sono strategie di terrore, ideologie o economie sommerse che tengano di fronte ad azioni simili. Bisogna ribadirlo a gran voce, ancora. Cosa c’entra con la storia del giornalismo? C’entra eccome; si tratta, semplicemente, di iniziare a far sentire la propria voce. Prima Mosul, poi Nimrud, poi Hatra, ora Khorsabad distrutte. E che ne direste se domani – ipoteticamente – fosse la Valle dei Templi di Agrigento, il Colosseo o l’Arco di Trionfo? 
«I gruppi terroristi in Iraq vogliono cancellare la memoria, le radici della nostra umanità, per annullare qualsiasi traccia di dialogo tra culture – spiega Bokova, che aggiunge – Non dobbiamo restare paralizzati, in stato di choc, perché è esattamente ciò che vogliono gli estremisti. La protezione della cultura deve imporsi con gli stessi mezzi della protezione dei civili».
Ecco la stessa similitudine televisiva: se Karaki, come umanamente sarebbe potuto accadere, fosse stata zitta di fronte all’irruenza del suo interlocutore, il mondo arabo ancora una volta avrebbe perso un altro tassello di dignità, di quella labile libertà rimasta in alcune aree e sotto assedio. E invece la sua professionalità non solo ha aperto uno spiraglio alla libertà femminile, ma ha dimostrato che è possibile “chiudere il dialogo” con chi non porta rispetto. Non dobbiamo, contrariamente a quello che vorrebbe la morale, stare ad ascoltare e magari rispondere a chi non si preoccupa delle proprie parole. Possiamo, e dobbiamo, limitare i danni della carneficina delle idee (ovviamente anche, e soprattutto, nel nostro quotidiano), così come è ora che le grandi “holding” mondiali per la salvaguardia dei Beni del pianeta prendano drastici provvedimenti per quello che sta succedendo in Iraq e che è successo in Siria e che sicuramente succederà da altre parti con quei tesori che portano con loro 3mila anni di storia. 
«La cultura ha sempre la traccia del dialogo tra i popoli, è nella diversità che le società crescono e si arricchiscono» ricorda Bokova, stigmatizzando quello che dà più fastidio allo Stato Islamico del nuovo Califfato. E ancora: «Se il fanatismo è una deviazione intellettuale, dobbiamo rispondere con armi dell’intelletto. Quando la cultura è sotto attacco, bisogna proporre ancora più strumenti culturali: tutti dobbiamo mobilitarci per difendere un patrimonio che è dell’intera umanità». Non ci sono dogmi scritti (e anche se vi fossero non servirebbero in questo caso) che possano dimostrare la verità di queste parole agli occhi accecati dell’Isis, ma quel che è certo è che l’isolamento della violenza, la chiusura di quel famoso dialogo nei confronti di chi cerca appiglio a dogmi inconciliabili con il mondo di oggi, a tutte le latitudini, può forse gettare una nuova ancora di salvezza per chi, umani o archeologia, vedono continuamente messe alla berlina le proprie libertà. Serve il coraggio di agire, come ha dimostrato Rima. E che serva di lezione anche a noi, italiani ed europei anestetizzati di fronte alla nostra stessa identità, prima ancora che al cospetto della storia. (MB)

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