In Siria e in Iraq sono stati siti archeologici e monumenti e biblioteche, e sembrava la peggiore pugnalata dello Stato Islamico alla civiltà. Poi c’è stata Tunisi, con il suo Museo del Bardo. Un altro luogo simbolico della trasmissione di una splendida cultura. Ieri, il Kenya. Dove il gruppo terroristico di al-Shabaab ha fatto irruzione all’Università di Garissa, a 150 chilometri dalla frontiera con la Somalia, entrando in un campus dove alloggiavano quasi 900 studenti. Quella che si prospetta è una delle peggiori carneficine della storia, visto che – al momento in cui scriviamo – si parla di oltre 500 studenti introvabili. Finiti dove? E in che modo?
Gli assalitori pare che abbiano “interrogato” i giovani sul loro credo, sparando a vista su chi rispondeva di essere cristiano, mentre sarebbero stati liberati alcuni musulmani. Il Kenya è stato teatro di diversi attentati terroristici portati a termine dagli estremisti islamici somali di al-Shabaab, il più sanguinoso nel 2013 in un centro commerciale di Nairobi. Ed è proprio su questo punto che bisognerebbe iniziare una nuova riflessione: se in Medio Oriente sussistono ancora i kamikaze di Allah pronti a farsi esplodere sulla folla, pare che il terrorismo delle ultime ore abbia preso di mira strutture non casuali, lontane da quello che ci si aspetterebbe – appunto, centri commerciali, metropolitane (ove ce ne siano), stazioni o aeroporti. Luoghi più connotati invece, più densi di storia, più umani: luoghi vivi e non di scambio commerciale, ma spazi dove fioriscono e si tramandano idee. È qui che il potere vuole colpire l’altro potere, come è accaduto con la redazione di Charlie Hebdo. Ed è qui, come abbiamo spesso detto, che si combatte da sempre la più grande delle guerre: quella per la cultura della libertà. (MB)