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27
agosto 2015
Eroi della televisione, immortali grazie al potere del piccolo schermo, che si accartocciano in diretta come celluloide sotto il fuoco. Sembra incredibile, come sembravano incredibili le immagini dell’11 settembre, come sempre lo è l’immagine della morte.
Un’immagine che, attraverso lo schermo, nonostante gli spari siano veri, nonostante al di là del frame si stia “compiendo” la vita, diviene una sorta di pura messa in scena.
Dopo Warhol e la serie dei disastri, roba blanda al giorno d’oggi, la televisione è ancora in grado di farci consumare il nostro “snuff movie” quotidiano.
Una sceneggiatura dell’orrore che nemmeno ci perplime, ma sulla quale continuiamo a cliccare, ancora e ancora, e ancora: e stavolta nessuno metterà bollini, dissolvenze, fermi immagini, perché tutto si consuma in diretta e noi, accaniti, possiamo finalmente vedere e rivedere, senza filtro.
Sarà questo il grado zero dell’immagine, pensando a quella splendida indagine sul testo, firmata da Roland Barthes? O forse, ancora una volta, siamo al punto di non ritorno?
Forse, questa istantanea, è il grado zero dell’immaginario, martirio della percezione, un puro shock che viene istantaneamente riassorbito e, replay dopo replay, tramutato in una “normalità” dei fatti. In quell’ordinaria follia di un dipendente della stessa emittente televisiva dove lavoravano le due vittime, su tutte le furie con una reporter poco più che ragazzina, accusata di razzismo dietro il rassicurante volto dell’americana perfetta.
Stavolta non si tratta di islamici folli, di decapitazioni rituali, fucilazioni, di morti “occultate” da altri motivi, in qualche modo mediate da un pensiero allucinato.
Qui la morte è la scena stessa, che trasforma in immortali Allison e Adam e anche il loro “macellaio”, suicida, che però non si vede, e dunque forse muore “meno”, o soltanto nel momento in cui viene annunciata la notizia. L’ennesima, di una serie di massacri nel Paese di un’uguaglianza che non esiste.
E al di là di filosofie e teorie sociologiche, sarà forse necessario dover inventare un nuovo linguaggio per ciò che ancora sfugge. Come il pensiero di un’America ancora plastificata, e armata fino ai denti, specialmente dalla rabbia. (MB)