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22
luglio 2015
Diritti nell’Italia rovesciata
Il fatto
Usiamo un titolo "sonoro" come è stata sonora l'ultima sberla che ieri ci ha tirato la corte europea di Strasburgo, che ha condannato il Belpaese per aver violato i diritti di alcune coppie gay che avevano fatto ricorso perché la legislazione italiana non riconosce le unioni civili
di redazione
Italia svegliati, che la primavera è già passata! E dopo la crisi, un problema immigrati, le fabbriche che chiudono e altri annessi e connessi “più importanti”, hai fatto l’ennesima pessima figura agli occhi di quell’Europa di cui ti senti tanto parte.
Quando si parla di economia, di riforme, meno di cultura, zero in diritti. Il preambolo, come tutti sappiamo, è che lo Stato italiano è stato giudicato dalla corte europea di Strasburgo colpevole di non aver riconosciuto i diritti a tre coppie gay (che hanno fatto ricorso, vincendolo), che da anni vivono insieme in una relazione stabile. Per loro 5mila euro di risarcimenti in danni morali. Una cifretta, che la dice lunga sull’importanza che rivestono certe politiche per il nostro Paese.
E, attenzione, non si sta parlando di matrimonio: la Corte europea, che ha giudicato la tutela attuale come “nemmeno sufficientemente affidabile”, non impone vincoli sullo strumento da individuare per riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso.
Ora, infatti, il problema non è più “matrimonio” o “non-matrimonio”, come spesso abbiamo sottolineato parlando di questo argomento, ma una vera e propria regolamentazione che permetta un riconoscimento legale vero e proprio, con gli annessi e i connessi.
Il DDL Cirinnà è in Parlamento, tra le polemiche, e mentre Renzi ha assicurato che l’approvazione arriverà entro l’anno, la Conferenza episcopale italiana ha dichiarato che “Le priorità per il Paese sono altre”.
Tombola! Eccoli qui, gli altri problemi. E intanto piovono schiaffoni, ma in questo caso i galli del pollaio (Meloni, Salvini, Giovanardi…) parlano una lingua muta, che nei Paesi civili – sotto questo punto di vista, e ormai sono quasi la totalità – non ha il benché minimo appeal; fa ridere. Anzi, pena. (MB)