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A volte, scorrendo titoli e leggendo articoli, si ha la percezione di essere catapultati in un mondo paranoico e assolutamente non vicino al giornalismo quanto al romanzo, per usare un termine nobile.
Da una parte, tralasciando suicidi-omicidi che imperversano nei week end, quando i fatti del mondo sono più annacquati, stavolta c’è Bob Dylan, dall’altra le proteste in Russia.
Che c’entrano? Appunto, in entrambi i casi sono quelle che potrebbero essere considerate “fake-news” che nascondono messaggi che potrebbero essere più interessanti. Per esempio il perché si è sentito il bisogno di dare il Nobel alla Letteratura a un cantante; cosa è cambiato nella nostra percezione dell’arte; cosa significa accettare ma non ritirare un riconoscimento di potere. Alt! L’ha ritirato o non l’ha ritirato? Parecchi media si sono spesi sulla vicenda in queste ore: era Dylan l’uomo incappucciato e con i guanti entrato in un “posto segreto” (ma allora perché ci sono le foto) a Stoccolma? Dylan, all’Accademia, avrebbe negato discorsi e canzoni, e forse quel che ha disturbato tutti in maniera insindacabile è stato, dal principio, questa volontà di negarsi: perché diavolo uno che riceve un Nobel non dovrebbe sbrodolare di eloquio chi lo conferisce e la platea? Tutto vero o tutto finto? Non ci interessa: di Dylan restano le canzoni, i dischi, i concerti, le parole. Il resto è un rumore di fondo, Nobel o no.
E la Russia? Pare che le proteste contro Putin che sono avvenute questo week end siano state architettate dai Servizi Segreti che hanno buttato in una Mosca blindata alcuni giovani alla spicciolata, ad uso e consumo di pubblico e giornalisti stranieri, recuperati immediatamente dagli agenti in tenuta anti-atomica.
In entrambi i casi due storie di anti-verità, sia laddove vi è la politica che fa il suo gioco, sia attraverso il “personaggio”. La messa in scena mediatica è servita, e il beneficio è solo della chiacchiera. (MB)