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Le sue mura pare siano state polverizzate da bulldozzer e tritolo. Le sue quindici stanze rimaste visibili, con la cappella, andate in frantumi. Il “massacro” dell’ennesima rovina -il tempio cristiano dedicato a Sant’Elia- a Mosul, la Capitale dell’Isis in Iraq, pare sia avvenuta oltre un anno fa, ma la notizia è arrivata solo ora grazie ad un’esclusiva dell’Associated Press, verificata con una serie di scatti satellitari inviati dalla DigitalGlobe.
Così lontana nel tempo, così vicina alla quotidianità, che quasi non fa effetto: non è la prima, viene da dire, dopo il Tempio di Bel, Palmyra, Hatra, Nimrud, e non sarà l’ultima, dopo i massacri, i rapimenti, le decapitazioni.
Viene alla mente il 1743, quando lì 150 monaci furono massacrati per il loro rifiuto di convertirsi all’Islam: siamo ancora lì. Da una parte all’altra ognuno cerca di far valere le proprie ragioni.
Anche gli americani, che avevano occupato il territorio circostante con una base militare, nel 2003, utilizzando l’edificio come deposito e i soldati avevano anche scarabocchiato le pareti con simboli nazisti. Bel rispetto per la cultura.
Ma quale cultura, dirà qualcuno! Un cumulo di macerie in mezzo al deserto, vecchie di mille e 400 anni.
Sarà qui, infatti, che la nostra memoria si incrina, che il nostro presente sfugge al nostro passato, a un dio che non è quello delle preghiere, ma quello della ragione, della cura, dell’empatia? E che si farà se tutta questa storia, dalla nostra geografia, si risolverà con una scrollata di spalle? (MB)