Categorie: Il fatto

È possibile pensare senza odiare?

di - 16 Novembre 2015
“La consapevolezza del rischio non deve limitare le possibilità di vivere della popolazione”. Lo ha detto Rosa Calipari, membro del COPASIR, Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, rispetto all’aumento del livello di ipotetici attacchi terroristici in Italia.
A tre giorni dalla notte di sangue di Parigi è ancora difficile tracciare un nuovo scenario, ma la controffensiva francese non si è fatta attendere e nella serata di ieri sono state sganciate 20 bombe su Raqqa, la raccoforte dell’Isis in Siria, che avrebbero distrutto due campi di addestramento dello Stato Islamico.
Gli interventisti, già scesi in campo con il topic “Perché non si è fatto prima” (che succedesse quel che è successo a Parigi) saranno contenti, e anche i pacifisti saranno contenti, visto che dagli attivisti anti-Isis siriani è stata rilasciata una nota in cui si afferma che solo le basi del terrore sono state ammazzate e che nessun civile è stato colpito.
In tutto il mondo i segnali della solidarietà, dal nastro nero di Google in memoria delle vittime ai simboli del potere politico delle Capitali europee listati in rosso, bianco e blu, vanno avanti.
Ma tra poco, e non diciamo subito – perché mai come ora è anche tempo di riflettere – vi sarà da prendere una decisione. Quella della parte dove stare, in quale campo scegliere di vivere. Nella paura o nell’azione, nell’odio o nella trasparenza. La neutralità, ve ne preghiamo, lasciatela da parte per altre questioni, l’Europa oggi ha bisogno di pensieri. Pensieri forti, pensieri che si facciano sentire, pensieri a lungo termine.
Sarà difficile restare “moderati” ma in questa terza guerra mondiale (definita così anche dal Papa, che anziché risultare “illuminato” ha fatto la parte di un burocrate qualsiasi, dimenticando quanti milioni di vittime ha fatto e continua a fare il Cristianesimo ai danni dei Paesi del “Secondo” e “Terzo” mondo, perpetrando la bestemmia continua, Santo Padre!) ci servirebbero anche degli intellettuali che possano aiutarci a comprendere, e non solo degli strateghi della lotta, dei paladini di non si sa quale giustizia divina.
Siamo sempre lì: la guerra non si combatte solo con le armi. E no, nemmeno solo con l’integrazione, lo sappiamo. Come al solito, però, il mondo si divide in buoni e cattivi che si conoscono vicendevolmente solo con l’uso delle armi. E se al posto di armi, conversioni e conquiste si gettassero libri? Siamo utopici, vero. Diciamo anche patetici, ma la violenza è estenuante, la guerra fallimentare, e in questo caso come in tutti i precedenti e futuri, destinata a perpetrarsi prima o dopo nel tempo, seguendo la circolarità.
Quindi? Quindi o si accettano queste condizioni, o bisognerà iniziare a (ri)pensare il mondo in un’altra maniera. Come andrà a finire? Vorremmo essere ottimisti, ma poi arriva l’annuncio di Fatima, la jihadista italiana originaria di Torre del Greco, di cui vi avevamo parlato tempo fa, che annuncia a breve una “presa di Roma”. E una rabbia forte, mischiata con quel sentimento umano, anche nobile, e non condannabile in toto che è l’odio, prende il sopravvento. E ci rende tutti uguali. (MB)

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