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14
maggio 2016
La notizia non ha toccato suolo italiano, perché in fondo non abbiamo ancora Giulio Regeni da vendicare, o meglio da rispettare nel nome della verità sulla sua morte. Ma l’Egitto di Al-Sisi e della dittatura che ormai è decisamente lontana dall’essere solo un’incombenza, ma un vero e proprio dato di fatto, non si ferma nemmeno davanti alle minuzie.
Anzi, le punisce strenuamente. Stavolta, a farne le spese, sono un gruppo di giovani dai 19 ai 25 anni, una sorta di banda metropolitana che ha il nome collettivo di Awlad el-Shawarea (Ragazzi di strada, appunto). Sono nati dalla scena dei graffiti e della musica fiorita nelle strade d’Egitto durante e subito dopo la rivolta del 2011. Hanno un enorme seguito sui social media, e sono noti per i videoclip selfie-stile in cui si dice, per esempio “Il mio presidente ha peggiorato le cose”, o ancora si canzona il claim tipico del dittatore, chiudendo i discorsi con “Viva l’Egitto”.
Bene, basta. Per loro l’accusa è di incitamento ad attacchi terroristici e manifestazioni di piazza, e insulto alle istituzioni statali. L’ennesima “bella storia”, insomma, di una coda di paglia grande come una nazione, così ampiamente conclamata che ormai ci si è quasi fatto il callo. In effetti, da questa parte del Mediterraneo, si sta facendo un po’ di callo a tutto, anche a pensare che – avanti di questo passo – una prossima primavera non è di certo alle porte. Specialmente per i non compiacenti. Di nuovo in bocca al lupo, amici egiziani. (MB)