25 marzo 2015

Fiumi di parole. E poi?

 
La settimana dei musei su twitter (#Museumweek) sta mietendo grande successo negli accessi online e nei cinguettii. Ma davvero prendere parte a una pagina social e lanciare botta e risposte lunghi sms significa conoscere un museo?

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C’era una volta un grande artista. Si chiamava Gino De Dominicis e come alcuni gli artisti era solito scrivere parecchio. Aveva idee strane, e incredibili. Sosteneva che l’arte più contemporanea è quella antidiluviana, perché appartenente alle forme originali e quindi eterne. Diceva anche altre cose, molto provocatorie. Ad esempio che il pubblico, anziché guardare le opere in televisione, avrebbe fatto meglio a pagare qualche biglietto alle ferrovie e ad andarsi a vedere le opere dal vivo. Erano gli anni ’70, ’80, ’90, e la rivoluzione di internet doveva ancora arrivare. 
Chissà cosa direbbe De Dominicis oggi, nel pieno di quella che è stata ribattezzata la #Museumweek, e usiamo l’hashtag perché è di twitter che stiamo parlando e di un’iniziativa che coinvolge oltre 2mila musei del pianeta. 
Che stanno facendo una sorta di rivoluzione che ancora non sappiamo esattamente dove andrà a finire. Si sa, per certo, che i tweet tematici per questa settimana sono già milioni, e gli argomenti con cui interpellare gli addetti ai lavori passano dai “segreti” del museo, ai “ritratti di famiglia” fino ai preferiti per poi chiudere, domenica, con il selfie globale: tutti potranno postare le proprie foto con le opere. 
Si tratta, insomma, della più grande campagna mondiale, e virtuale, per far conoscere le case della cultura, dalle piccole gallerie di provincia accanto a giganti come la Tate o la National Gallery, che condividono i loro cinguettii con Russia, Francia, Stati Uniti, Italia, Spagna e Oriente. Per comunicare. 
Ma davvero in poco meno dei caratteri di un sms si può dire qualcosa in più che non sia uno slogan? Forse per la generazione 2.0 è più facile decifrare l’enigma della conoscenza in pillole, così come pensare a un museo che non sia più come lo abbiamo conosciuto ma che insieme a nuove forme espositive e di attrazione di pubblico riesca ad essere anche un grande contenitore virtuale per far crescere i suoi numeri. La scommessa, dopo i milioni di tweet, ora è quella di tornare alle origini, all’eterno dell’esperienza dell’arte: comprare il biglietto di un treno, e oggi anche di un aereo, per andare a scoprire quello che twitter, di un museo, non saprà mai raccontarvi: la vostra conoscenza. (MB)

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