Si fa presto a dire che il 40 per cento dei giovani italiani tra i 15 e i 24 anni sono disoccupati. Bisognerebbe fare altrettanto presto a dire, però, che quella decina scarsa di anni, dovrebbe – in teoria – essere corrisposta da un percorso di studi: diploma, laurea triennale o anche magistrale.
E invece, a quanto pare, l’inoccupazione fa rima anche con mancata scolarizzazione, specie perché invece nel range di età tra i 24 e i 35 anni il tasso di persone senza lavoro diminuisce drasticamente, per poi risalire nel caso degli ultracinquantenni, ma questo è un altro discorso.
In tutto, in Italia, i senza lavoro sono al 12 per cento, leggermente in rialzo rispetto al dicembre 2015, anche se la flessione è minima.
Ma c’è un’altra questione: dal calcolo del tasso di disoccupazione dell’Istat sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, e perché non seguono nemmeno percorsi di apprendistato (i cosiddetti neet). Volete sapere quanti sono? 2 milioni, riporta un dato dell’ISFOL dello scorso giugno.
L’Eurofound (la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro) ha stimato per l’Europa un costo di oltre 150 miliardi di euro derivante dai giovani inattivi tra i 15 e i 29 anni; una perdita non solo di capitale umano, ma anche di PIL, pari all’1,2 per cento.
Insomma, non sono dettagli da poco, specialmente perché – tra l’altro – una delle regioni con il più alto numero di inoccupazione è il Triveneto, terra d’impresa e di un abbandono della vita scolastica in tenera età . Sul che fare…si accettano ancora proposte, e idee soprattutto. (MB)