Categorie: Il fatto

Il curatore? È irrilevante. | E un po’ imbecille

di - 8 Giugno 2016
Sarà un caso che la Biennale di Berlino quest’anno è curata dal collettivo di artisti americano DIS, che Manifesta è diretta dall’artista tedesco Christian Jankowski, e che la prossima Biennale di Istanbul nel 2017 sarà curata dal duo scandinavo Elmgreen & Dragset? E c’è anche un comico che ha curato una mostra all’Hammer Museum di Los Angeles: Steve Martin, sul canadese Lawren Harris.
Ahi ahi, tempi duri per i curatori? Seguendo queste premesse assolutamente sì, e seguendo quel che riporta ad Artnet Francesco Bonami, star-curator degli ultimi vent’anni, le speranze di riscatto ad oggi sono al lumicino.
“Il curatore porta un qualche genere di contenuto intellettuale che possa permettere di dare anche al gallerista più insensibile un certo tipo di credibilità”, riporta Bonami nell’intervista di Henri Neuendorf.
E prosegue in un’invettiva deflagrante e, come sa essere solo Bonami, decisamente gustosa e spietata: “Siamo diventati personaggi deliranti e del tutto irrilevanti sia in relazione al mercato che la carriera degli artisti”. E ancora: “Il sistema dell’arte ha esaurito tutte le possibili opzioni per sfidare la noia, ecco perché ora sono gli stessi artisti a curare le mostre”.
Un’infilata dietro l’altra, al vetriolo, e su cui profondamente riflettere, come spesso capita con quelle che di primo acchito vengono giudicate le “sparate” di un grande comunicatore: “Siamo come la pittura: sempre sul punto di essere dichiarati morti, ma ancora abbastanza vivi. Ed è molto difficile non diventare una parodia di noi stessi”. Ed è chiaro che, come fare buona pittura, oggi essere bravi curatori richiede uno sforzo, un impegno e un talento senza precedenti. La chiave di tutto? “Oggi se non sei in grado come curatore di articolare in un linguaggio comprensibile al pubblico il motivo per cui una scatola di scarpe è un capolavoro, TU sei l’imbecille. Non credo sia colpa del pubblico se certe mostre e opere oscure e criptiche vengono rifiutate”. Grazie Bonami: oggi c’è di nuovo materiale su cui riflettere, e non poco, intorno a una vecchia storia. (MB)

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  • Bonami sempre simpatico, ma dimentica di dire chi sono gli artisti e chi sono i curatori! Perché se vediamo i curatori (vedi per esempio la prossima quadriennale di roma) come i veri artisti le cose cambiano. Quello che vuol dire Bonami è che un certo ruolo di artista è ormai finito, e costretto a fare l'arredatore o il vetrinista di lusso (art line milano, ikea evoluta, furla, prada, ecc). Ma anche il curatore non è in realtà un artista perché seleziona e affianca opere altrui. Abbiamo in definitiva un vuoto mascherato da pieno (vedi le 1000 mostre in quadriennale) rispetto un linguaggio, quello dell'arte contemporanea consumato e debolissimo. Ecco spiegata la crisi del settore. A mio parere esiste una nuova strada, una diversa modalità.

  • Con piacere noto che lo stimato Bonami ha finalmente esternato un grande limite del mercato dell'arte italiano. E cioe' che la quasi totalita' dei curatori non e' in grado di presentare e commentare con coerenza e razionalità le qualita' e le poetiche degli artisti che rappresentano. In tal modo, tanti potenziali collezionisti, consci dei linguaggi ridicoli e senza senso utilizzati, si allontanano dall'acquisto di tante opere che meriterebbero ben altra attenzione. Si ha spesso la sensazione che buona parte di questi professionisti non solo non siano preparati per il ruolo svolto ma soprattutto siano davvero cio' che li definisce il Bonami..

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