22 dicembre 2015

Il diritto della scelta

 
Affrontare l'argomento del fine-vita che si pone in questi giorni, con il caso di Dominique Velati e l'autodenuncia dei Radicali, non è cosa semplice. Semplice, però, è la consapevolezza. Quella di vivere liberi fino alla fine, come recita uno slogan

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La libertà individuale finisce laddove si calpesta quella altrui. Dominique Velati, ultimo caso di eutanasia assistita e diventato tutto italiano, con il radicale Marco Cappato autodenunciandosi per aver aiutato la donna ad ottenere la dolce morte, non ha calpestato quella di nessun altro. Ha scosso le coscienze, ha turbato, ha scandalizzato. La morte, il suicidio, non è un argomento di cui si può parlare in questo Paese, così i diritti civili: sono due facce della vita che vengono quotidianamente calpestate in nome di una morale che non esiste. Perché non esiste vita, e quindi non esiste morale, se non c’è dignità e non c’è rispetto, nel caso di Velati per una malattia terminale e atroce. 
L’esecuzione della volontà della donna è stata effettuata una settimana fa, ma solo ora sono state rese note le tempistiche, secondo le sue disposizioni. 
Non vogliamo, qui, stare a discutere di peccati mortali o clausole che vanno “contro la vita umana”, perché una sentenza di morte è già una disposizione “divina”, e che la si acceleri e si tolgano atroci sofferenze, è innegabilmente un diritto umano. E che deve essere riconosciuto come tale. 
I Radicali, fermi, oltre a “denunciarsi” per l’aiuto fornito a Dominique Velati e per quello che si preparano ad offrire anche ad altri malati che lo richiedessero, hanno anche annunciato che aiuteranno – qualora vi saranno le condizioni – i cittadini a preparare tale atto sul territorio italiano. Per ora, tutto, è reato. Un reato di dignità, da perseguire. (MB)

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