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Google ha annunciato che abbasserà la serranda sul suo servizio di news in Spagna. L’accentratore di notizie sarebbe stato scalzato dalla legge sulla proprietà intellettuale, che obbligherebbe i servizi informatici che raccolgono sommari a pagare gli editori per ogni porzione di lavoro giornalistico utilizzato. Da un lato dunque ci sono i detentori dell’informazione, carta stampata, siti web e canali video, defraudati da Google (che richiamerebbe così nella propria rete tutta una larga serie di utenti, generando indotto) e dall’altro invece c’è proprio il motore di ricerca più grande del mondo che non ci sta a dover pagare per un servizio che, si legge tra le righe, fa beneficenza ai siti indicizzati interessati. Una notizia “postata” da Google News, infatti, è una sorta di miniera d’oro per la fonte dalla quale viene riportato il titolo. Che trae traffico sulla propria pagina in maniera “gratuita”.
Google, nel caso spagnolo, ha fatto sapere però che non darà adito a possibili proroghe e chiuderà il servizio. Probabilmente anche per non creare precedenti nelle richieste di monetizzazione per una prestazione d’opera che il colosso ha attivo in 70 Paesi del mondo, e che per chi cerca notizie sul web è di fondamentale importanza.
Sul piede di guerra, in primis, vi sono i piccoli editori, convinti di veder rapinato il proprio lavoro senza la minima resa, e già nel 2013 una battaglia contro Google era stata intentata anche dall’editore tedesco Springer, che aveva però fatto dietro front dopo un crollo delle visualizzazioni sulle sue testate. E allora, qual è il male minore? Che il copyright sia un po’ messo da parte per la diffusione al grande pubblico delle proprie notizie, grazie alla “partecipazione” di un organismo di diffusione che in tutti casi è impossibile fermare, o restare nella propria nicchia di resistenza tutelati nell’onore ma con pochi clic a disposizione? Ardua sentenza. Etica forse. Che ha a che fare con una delle più grandi piaghe del mondo editoriale di oggi, a tutti i livelli, e che si potrebbe riassumere in una domanda: l’informazione costa, ed è giusto pagarla? E se sì, quanto? Oppure, anche in questo caso, siamo al “vietato vietare”, visto che il sapere, come disse qualcuno, rende liberi?