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“Sta forse giungendo a compimento il senso espresso dalla nostra cultura che, come dice il nome, è ‘occidentale’, cioè ‘serale’, avviata a un ‘tramonto’, a una ‘fine’. L’evento occidentale è sempre stato presso la sua fine, ma solo ora comincia a prenderne coscienza”. Sono parole famosissime, che chi mastica un poco di filosofia e sociologia, almeno in questo caso, conosce a menadito e forse ne ha addirittura a noia.
Sono di Umberto Galimberti, e vengono dal libro “Il tramonto dell’Occidente”. In queste ore, mai come prima, sembra più vicina una “Sera che cade”, citando un’opera di un altro immenso personaggio – Magritte – che attraverso la sua pittura ha scandagliato i problemi del linguaggio. Quel linguaggio che oggi appare privo di senso in una violenza che mima apparente tranquillità e che gioca ai nervi a fior di pelle. Un linguaggio che dimostra che nulla si è imparato dalla storia recente. Ci importa poco degli affari, delle supremazie, delle pedine che si devono spostare, ma ci fa orrore pensare che ancora nel 2017, a nemmeno un secolo da Hiroshima e Nagasaki ci si metta a parlare di “Guerra nucleare improvvisa”.
Fa orrore la voce del vicepresidente statunitense Mike Pence che dice che “L’era della pazienza è finita”, e che “Il regime nordcoreano non deve sfidare la determinazione di Trump e la forza dell’esercito statunitense”. Fate i bravi, insomma.
Speravamo che Mister Trump, nel suo rendere l’America “grande” di nuovo, pensasse un poco all’autarchia, isolandosi, evitando la grandeur di sfida verso il mondo. Verso quell’altro mondo che nella sua follia dittatoriale e capitalista a quello “occidentale” ha sempre fatto capo, dandogli il fianco. E così, seguendo Galimberti, mica è soltanto il problema del “west”, ma anche dell’est, del sole nascente, che da anni ha scelto il viale del tramonto.
Da quale parte stare se lo staranno chiedendo in molti, in queste ore, non trovando nemmeno la consolazione di una dialettica possibile. E l’America con la sua obsoleta idea di “accoglienza”, ancora una volta, diventa un miraggio lontano; un Paese “folle” che ha scelto di mettersi in casa “unabomber” globale, come se non bastassero – a far piovere perplessità – i cittadini “comuni” che postano i propri video di omicidi su facebook. Per una volta tanto ci viene da dire “Viva l’Italia”, ma se dovesse davvero partire una vera lotta tra parrucchini biondi e mori nel tramonto delle idee e nelle tenebre del potere, servirà a poco. (MB)