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Un noto quotidiano italiano ha chiuso il titolo della falcidiata di Stoccolma con tre puntini. Quasi una sospensione del giudizio; quasi un “ci siamo abituati”. Sì, forse è vero. Ci siamo abituati ai camion che falciano umani (sia sulle provinciali italiane che nelle Capitali europee) che quasi non ci facciamo caso.
Che succede? Il solito rito: il mezzo si butta sulla gente a passeggio sulla centralissima pedonale Drottninggaten; il premier riferisce che si tratta di un attacco terroristico, e alla fine a terra ci sono quattro morti e quindici feriti, stando alle fonti della polizia.
In serata, poi, le agenzie danno la notizia dell’arresto di un uomo che avrebbe confessato le proprie responsabilità.
Il camion che è stato usato per attaccare era stato rubato poco prima a un rivenditore di birra che lo aveva lasciato incustodito durante il giro di consegne nei ristoranti della città. Secondo la radio svedese, poi, sono stati sparati dei colpi di arma da fuoco proprio nel luogo dove un camion ha colpito, che è poi la stessa zona presa di mira l’11 dicembre 2010, con il duplice attentato dell’autobomba che all’epoca fu il primo attacco suicida nei Paesi scandinavi. In quel Paese che, simbolo di un vecchio welfare potentissimo, che ormai da tre decenni ha esaurito il suo “modello” fatto di generose prestazioni sociali, che hanno creato così – dal 1990 ad oggi – un rapido aumento delle disuguaglianze tra chi svedese è di sangue o da molto più che un paio di generazioni, e chi no. Così come per chi vive nel centro di Stoccolma, e chi nelle periferie. La solita storia che si ripete anche a Parigi, o a Londra. Davvero si può credere ancora alla storia del terrorismo islamico internazionale – soprattutto in certi luoghi – o di un semplice atto contro Governi e dunque simboli (e dunque vite umane, gli ultimi della catena), che lasciano al proprio destino una buona parte di cittadinanza che magari, oltre ad essere indigente, è pure messa al bando dalla xenofobia? (MB)