Per quale maledetto motivo una ragazza nemmeno 30enne, studentessa all’Università di Milano, si dovrebbe arruolare con lo stato islamico? Non si sa, ma dalle intercettazioni della Digos, e ora attraverso un’intervista via Skype al Corriere della Sera, la piccolo borghese Maria Giulia alias Fatima (certo, ci vuole un nome islamico per far parte del Califfato, o no?) esce allo scoperto e racconta – verrebbe da dire schizofrenicamente, anche se tutto sembra pervaso da una lucidità che trascende la nostra ragione – cosa può fare una donna nel regno dove il gentil sesso è brutalizzato, schiavizzato, e dove si tagliano gole agli infedeli, a quelli che lei stessa definisce “ipocriti e traditori della legge della sharia”.
Partita per la Siria nel settembre del 2014, insieme al marito albanese Aldo Kobuzi, ora serve l’ISIS, e ha tentato in tutti i modi di portarci pure la famiglia. E forse non è un caso che se ne sia uscita, quasi completamente allo scoperto, dopo che gli jihadisti hanno promesso di attaccare Roma, e dopo – sono sempre più numerose – le adesioni al califfato da parte di individui nati e cresciuti in questa parte di mondo.
«Qui non schiavizziamo le donne ma le onoriamo. Basta usare sempre i soliti argomenti. Lo Stato islamico, sappi, è uno Stato perfetto. Qui non facciamo nulla che vada contro i diritti umani. Cosa che invece fanno coloro che non seguono la legge di Allah», dice a Marta Serafini.
In realtà, Fatima, da quello che si può leggere, è il perfetto stereotipo dell’indottrinamento, della “legge del taglione”, di “esempi morali” – e passateci il termine – come tagliare una mano al ladro, azioni che servano a tutti “d’esempio”.
L’esempio perfetto, in questo caso, è invece chiaramente riconducibile alla profonda crisi di valori che il nostro occidente sta attraversando, e che porta forse i più deboli, i più condizionabili (no, sognatori non si può dire in questo caso), a pensare di poter cambiare il mondo (ma quale?) con la violenza, attaccando il nemico (ma chi?), facendo tabula rasa di diritti ed estendendo solo un immenso dovere: quello nella fede della lotta contro la libertà umana.
Chissà se un giorno questa piccola scheggia impazzita della nostra società si sveglierà, e chissà, soprattutto, se penserà di poter tornare nella provincia italiana come se nulla fosse. Ancor meglio: forse il sogno di Maria Giulia è di finire kamikaze, esplosa contro qualche nemico del Califfato. Chissà se per le donne islamiche, nate cristiane, Allah potrà avere pietà. Noi, di certo, no. (MB)