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12
maggio 2015
Partiamo dal principio, ovvero da twitter e instagram, che con gli hashtag – e parole “chiave” precedute dal simbolo cancelletto #, vagano in tutto il mondo, con grande libertà, creando mode e opinioni, per quanto possibile ci si possa fare un’opinione leggendo un centinaio di caratteri.
Peccato però che ora anche l’hashtag, per la prima volta nella storia, diventi terreno di un contenzioso: la società americana Wat-Aah, che vende acqua in bottiglia e che ha anche fini “filantropici” e sociali, ad esempio il contrastare l’obesità nei più piccoli, ha dato l’ultimatum all’associazione di street artist di Manhattan The Little Italy Street Art Project nell’utilizzare l’hashtag usato per la promozione della campagna di sensibilizzazione Drink Up, #takingbackthestreets.
Prima, insomma, l’azienda fa comunicazione per le proprie idee e i programmi e poi, finita la campagna, la parola magica con cancelletto (alla portata di tutti, come ogni hashtag che si rispetti), sarebbe diventata, insomma, di proprietà intellettuale di Wat-Aah.
Un marchio aziendale, insomma, sta cercando di chiudere un’associazione di arte pubblica, o quanto meno di mettere seriamente i bastoni tra le ruote per l’uso di un hashtag.
E ora? Anche l’avvocato esperto di trademark, Richard Lehv, ha dichiarato al New York Times che la questione “hashtag” è un’area decisamente inesplorata, ma Wat-Aah non avrebbe molto di cui preoccuparsi: l’hashtag #takingbackthestreets ha un sacco di foto che promuovono la campagna pubblicitaria, ma non una sola immagine delle pitture murali di Little Italy, pagate da donazioni di artisti e imprese locali.
Una holding bella e buona, insomma, che di beneficenza all’arte e agli artisti non hanno intenzione di fare.
E l’hashtag? In attesa che si chiariscano le acque, liberi tutti, no? (MB)